Perché un altro libro sulla Smalp

Fino ad ora sono state pubblicate cinque opere di narrativa, ambientate presso la Scuola Militare Alpina di Aosta del secondo dopoguerra. Qualcuno ha parlato di "diario", qualcuno di "cronache", qualcun altro ne ha fatto un "romanzo". Sicuramente poche scuole militari possono vantare una bibliografia tanto cospicua; il dato è ancor più sorprendente se si considera che tutte queste narrazioni sono ambientate in tempo di pace: cosa percepirono questi autori di così "memorabile", di così degno d'essere narrato?
La peculiarità di un'avventura, certamente. Quando vi addentrerete nella lettura di queste pagine, conoscerete - se già non l'avete respirata di persona - l'aria della Smalp; se saremo stati abili con la penna quanto lo fummo coi Vibram®, vi renderete conto che si trattava di una scuola molto particolare, non solo in senso assoluto, ma anche nello stesso ambito militare. Forse riusciremo a spiegarvi perché, dopo venti e passa anni (per qualcuno di noi possiamo parlare addirittura di quaranta…), una parte del nostro cuore, probabilmente piccola, ma importantissima, è rimasta all'interno di quelle quattro mura, su quei monti percorsi faticosamente con ogni clima.
Ma c'è dell'altro; deve esserci dell'altro, perché siamo Alpini e quindi oltre ai luoghi ed ai paesaggi abbiamo ben presenti i volti, gli occhi, le anime di tutti i nostri compagni, di quelli che abbiamo perso di vista, e di quelli che abbiamo perso in tutti i sensi: una parte di questa antologia è dedicata proprio a loro.
Ma, per completare la risposta, è probabilmente necessario provare ad esprimere il concetto di "alpinità". Pur consci di non poter interpretare i sentimenti di tutti (stiamo pensando agli autori di questa antologia, naturalmente, ma anche agli Alpini in generale), vorremmo riportare qui il testo di un'intervista rilasciata da Filippo Rissotto, responsabile della parte letteraria di quest'opera, in occasione di una presentazione al pubblico del suo La Cinque, perché ci pare illuminante:

"L'alpinità per me è stato farcela perché si era insieme: nella tormenta, di notte e sul ghiaccio, ma anche nel raggiungimento dei gradi a fine corso. È stato l'unico caso della mia vita, dopo quello rappresentato dai miei genitori, in cui dei superiori mi abbiano guidato con l'esempio. È stato dare e ricevere, con generosità, a seconda dei momenti. È stato capirsi senza parole. È un caldo abbraccio, mai sciolto e rinvigorito ad ogni raduno, anche se fra pochi. È un continuo documentarmi su quegli uomini che portavano il cappello con la penna, leggendo con avidità le cronache scritte da loro stessi, per scoprire sempre il medesimo atteggiamento, forse edulcorato dal ricordo, forse dal desiderio di ben figurare fra le pagine della Storia - non lo so - ma stranamente sempre uguale e coerente, di rifiuto della guerra e della violenza; un atteggiamento che però, nella pratica, si risolse in comportamenti eccezionali, all'interno di situazioni nelle quali un militare di solito scappa, o si arrende.
In realtà, credo di aver capito i significati più profondi di un simile senso di appartenenza solo dopo la mia esperienza militare. L'ho capito successivamente alla mia iscrizione all'ANA, partecipando alle adunate nazionali; scoprendomi simile alle migliaia di altri Alpini, vedendo gli sguardi gioiosi, festanti della gente al nostro passaggio; constatando ogni giorno l'infinita serie di attività benefiche che svolge la nostra gloriosa Associazione. Ma l'ho capito anche entrando in contatto con gli Alpini dei tempi di guerra, quando ho avuto la fortuna di conoscerli personalmente.
"

Una delle principali caratteristiche degli Alpini e dell'Associazione che li unisce è proprio quella di mantenere vivo il ricordo delle loro storie, delle loro tradizioni. Spesso però tale ricordo finisce per cozzare con un'altra prerogativa alpina, la ritrosia alla parola, quel pudore così efficacemente riassunto nel detto "tasi e tira".
Vorremmo illustrarvi, a questo proposito, un episodio recente.
La Sezione ANA di Savona organizza ogni anno dal 1975 il Premio Nazionale "L'Alpino dell'anno". Per il 2002 è stato premiato nella sezione "Alpini in congedo" Lucio Piccardi, classe 1938, Sezione ANA di Bergamo, Gruppo di Dalmine. Quest'uomo, coinvolgendo Alpini del suo Gruppo, altri volontari e ditte locali, è riuscito a creare dal nulla un Centro Polifunzionale, completo di attrezzature sanitarie e sportive, per la riabilitazione dei giovani portatori di handicap; successivamente ha ampliato la sua iniziativa, dando vita ad una Cooperativa Sociale, volta ad agevolare l'inserimento di quei giovani nel mondo produttivo (iniziativa coronata da numerosi successi).
Al seguito di Lucio Piccardi, era giunto a Savona un folto gruppo di Alpini e di membri del Centro. Il tripudio di queste persone, all'atto della consegna del premio, era già sufficiente a testimoniare l'affetto e la stima che lo circondavano, ma ancor più toccanti furono le poche parole da lui pronunciate nel ricevere il premio, rivolte quasi esclusivamente a coloro che l'avevano aiutato ed ai nuovi progetti, per i quali quella Cooperativa Sociale costituiva solamente un punto di partenza. In più, si scusava con la moglie per il tempo che le aveva sottratto e ringraziava gli organizzatori del premio, per aver così onorato quelle iniziative. Su di sé, neanche un accenno…
Ecco allora un altro spunto, che ci convince dell'utilità di questa pubblicazione: se gli Alpini sono così restii a parlare di sé e delle proprie azioni, ci vorrà pur qualcuno che si faccia coraggio e le racconti, perché altrimenti le uniche voci che il pubblico sentirà saranno sempre più quelle della cronaca ufficiale, che spesso si limita ad angustiarci e a preoccuparci - o talvolta a commuoverci, per un momento intenso ma breve, che rischia di lasciare il tempo che trova.

Probabilmente esistono altre motivazioni alla base di tale fioritura letteraria. Ve n'è una sociologica, naturalmente: gli ufficiali di complemento, dal secondo dopoguerra i protagonisti della Smalp, erano esponenti di quel ceto borghese e piccolo-borghese, che era solito fornire i quadri del mondo lavorativo. Tra questi quadri, ovviamente, non potevano mancare gli intellettuali, o quanto meno persone un po' più acculturate rispetto alla media, che potevano ben decidere di narrare per iscritto la loro esperienza, condendola magari di qualche considerazione personale.

Adesso però vorremmo provare a spiegarvi perché proprio questo libro, richiamandoci più strettamente a quanto espresso nel titolo di questa nota introduttiva.
Tempo fa un gruppo di sottotenenti forgiati dalla Smalp iniziò a frequentarsi (per lo più virtualmente, purtroppo) su un sito internet denominato "smalp.it". Iniziarono le discussioni, i ricordi, le ricerche di vecchi commilitoni, come accade spesso nelle liste di posta di questo genere. Ad un certo punto, molte di queste persone sentirono l'esigenza d'incontrarsi in carne ed ossa, per dare un volto a quelle voci, a quelle parole che solitamente venivano trasmesse da un freddo computer. Fu proprio durante una di queste riunioni, avvenuta in quel di Moniga sul Garda, che qualcuno propose di fare qualcosa, "qualcosa di buono".
Alcuni di noi operavano già per conto loro nel mondo del volontariato, altri all'interno delle potenti ed efficienti strutture dell'ANA… Però si sentiva il bisogno di agire tutti insieme, in nome del nostro gruppo, non tanto per distinguerci dalla struttura nazionale, quanto per significare - magari in scala minore, magari in tono ancor più dimesso - che c'eravamo anche noi: quei sottotenenti che con i "loro" Alpini la naja l'avevano in buona parte condivisa… Quasi a voler dimostrare l'impossibilità che un gruppo di Alpini potesse vedersi, frequentarsi, riunirsi, senza provare l'insopprimibile esigenza di operare fattivamente. S'immaginarono iniziative, raccolte di fondi, si concertarono sinergie. Ma, ancora una volta, la letteratura ci venne in aiuto: si poteva creare un'antologia di racconti, provare ad ottenerne la pubblicazione e devolverne il ricavato ad un'iniziativa benefica. Le potenzialità dell'informatica, che già ci avevano permesso di entrare in contatto, potevano anche sopperire a tutte (o quasi) le difficoltà logistiche che un simile progetto necessariamente comportava. Grazie ad internet, strumento ideale per trasmettere velocemente flussi di dati a qualsiasi distanza, avevamo la possibilità di creare una redazione "virtuale", con la quale raccogliere una serie di contributi personali, per poi vagliarli, rivederli, organizzarli, corredarli d'immagini… E così fu.

Vi era infine una molla in più, una motivazione particolare, che recava in sé una certa dose di amarezza e di vis polemica. Il 4 dicembre 2000 la Scuola Militare Alpina è stata chiusa, evento probabilmente inevitabile nell'ottica delle nuove Forze Armate: abolito il servizio di leva, diventavano superflui gli ufficiali e i sottufficiali di complemento, in passato necessari per completare i quadri permanenti.
Questa non è probabilmente la sede adatta per imbastire una polemica sulla necessità, per l'Italia, di avere un esercito di popolo. Vorremmo però presentare, il più succintamente possibile, solo tre concetti.
Con l'abolizione del servizio di leva:
- lo Stato non sarà più costituito da cittadini che, prima di affacciarsi alla vita sociale, civile e produttiva, abbiano servito il proprio paese, dichiarandosi - almeno formalmente - pronti a difenderne a costo della vita l'indipendenza, l'integrità territoriale, i valori culturali: una base irrinunciabile per poter dopo apprezzare i valori culturali degli altri popoli.
- verrà negata a quasi tutti i futuri cittadini la possibilità di vivere (durante una fase della propria esistenza - la giovinezza - ancora aperta e predisposta ad assorbire nuove esperienze) un momento comunitario, socializzante. Faticoso, certo, forse forzoso, a volte doloroso, ma potenzialmente formativo; sia del carattere, sia soprattutto della coscienza civile, la coscienza cioè di appartenere ad una comunità che trascenda il nucleo familiare e la ristretta cerchia delle conoscenze scolastiche, ciò che è la base per poter convivere serenamente in una comunità (quella umana) ancora più ampia e variegata, e per ciò stesso difficile da apprezzare, almeno in prima battuta.
- aumenterà la distanza dei componenti delle forze armate dalla realtà civile. L'unico collegamento istituzionale e costante col resto della popolazione sarà probabilmente rappresentato da quella classe politica che ha il compito di dirigere ed impartire direttive ai massimi vertici militari; quella classe politica che, in passato, non sempre ha dimostrato di dirigere a dovere le nostre forze armate.

Per fortuna esistono nel nostro Paese tante associazioni benefiche, portate avanti e vivificate da persone volenterose, e tanti singoli cittadini che nell'ombra contribuiscono quotidianamente a migliorare le condizioni di vita del prossimo.
La nostra speranza consiste nel dare un contributo, per quanto piccolo, alla diffusione degli ideali e dei valori che gli Alpini hanno sempre incarnato, in ogni epoca. Siamo certi che una parola in più (un libro in più) non potrà che far del bene.

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