Questione di gradi
di Mario Grigioni
Chiunque abbia svolto il servizio militare come ufficiale degli Alpini si è, inevitabilmente, venuto a trovare in una serie di situazioni ad alto rischio risoltesi, nella stragrande maggioranza dei casi, senza danni: quelle che gli Inglesi definiscono, con felice sintesi, near miss e close call.
Esiste un’ampia casistica di near miss da poligono quali, ad esempio: il lancio maldestro della bomba a mano SRCM da parte di qualche recluta (o magari AUC…) imbranata, il puntamento involontario della Beretta inceppata verso l’ufficiale di linea, il transito dietro un cannone senza rinculo pronto a sparare, e così via. Analogamente, non mancano le close call da montagna, quali gli incontri ravvicinati con valanghe e slavine, la caduta di pietre, la perdita di appiglio in palestra di roccia o, per chi ha avuto la ventura di andarci, in parete.
Spesso questi eventi, opportunamente ritoccati, diventano argomenti di conversazione anche a molti anni di distanza, magari di fronte al caminetto acceso, in un accogliente rifugio alpino.
In quel rigido inverno di fine anni sessanta il sergente AUC Fiorenzo, in forza al battaglione Pieve di Cadore, fu coinvolto in un clamoroso near miss ad alta quota, nello splendido scenario del Passo San Pellegrino coperto da due metri di neve.
Quel giorno l’artiglieria da montagna, attestata nei pressi di Falcade con una batteria di obici 105/14, doveva effettuare una serie di tiri di inquadramento verso il Passo delle Selle, al confine fra il Cadore e la Valle di Fassa. La gittata era di circa 7 chilometi, ben all’interno dell’inviluppo di tiro del mitico 105/14, che a quei tempi era l’arma di punta dell’artiglieria Alpina.
Fiorenzo, che faceva parte del gruppo SIBERBO (Sicurezza, Bersagli, Bonifica) agli ordini del capitano Marinelli, era stato comandato in servizio presso l’osservatorio di artiglieria, con il compito di allestire una linea telefonica fra la base di San Pellegrino e l’osservatorio stesso e, nel corso dell’esercitazione, di gestire la stazione radio P10 in quota.
“Quasi quasi la invidio -aveva detto Marinelli assegnandogli l’incarico-. Per lei che è milanese, sarà come vedersi l’Aida dal palco reale della Scala. Vedrà che spettacolo!”.
In realtà, più che un palco della Scala, l’osservatorio ricordava un palchetto da ballo liscio di una sagra paesana: era una piattaforma in legno, accessibile tramite una scaletta, sufficientemente ampia per ospitare, oltre all’ufficiale osservatore, il personale di servizio e, all’occorrenza, un cospicuo numero di invitati. In compenso, da quella posizione dominante, la vista era impagabile, e spaziava a 360 gradi sul paesaggio innevato: un vero spettacolo, Marinelli aveva ragione. La batteria, in fondovalle, non era visibile ed a sua volta, non avendo il bersaglio in vista, avrebbe eseguito il puntamento su falso scopo.
La stesura della linea telefonica fu completata senza intoppi, utilizzando un metodo alquanto sbrigativo, proprio come si vede nei filmati d’epoca girati durante la guerra bianca. Il doppino, avvolto su una serie di rocchetti portatili, veniva posato da un Alpino sciatore (nella fattispecie il bravissimo Ermenegildo Frescura) che scendeva disinvoltamente in neve fresca, reggendo il rocchetto con una mano ed i bastoncini con l‘altra. Frescura era seguito a breve distanza dal guardafili Oreste Pertile che, facendo scorrere il doppino nella mano protetta da un robusto guanto, verificava la tenuta delle giunzioni e, ove necessario, provvedeva a rifarle. La squadra era completata da due portatori che trasportavano, su appositi bastini, i rocchetti necessari per coprire l’intera tratta. Oltre a svolgere i loro compiti istituzionali, Frescura e Pertile riuscivano anche ad impartire a Fiorenzo lezioni estemporanee di tecnica in neve fresca: “Sergente, el g’ha de tegnir el cul indrio, come se el xè sentado in sul water. Se no, le punte le se sprofonda, e lu el se ribalta”. Facile a dirsi…
Lo sgombero poligono, data l’ampiezza della zona interessata e la conseguente complessità delle operazioni, venne gestito direttamente dal capitano Marinelli. La valle era presidiata dagli Alpini di vedetta, coadiuvati da alcuni posti di blocco dei Carabinieri lungo la viabilità ordinaria. Un gatto delle nevi, dopo un’ardita salita in diagonale, depositò in croda una coppia di Forestali, provvisti di potenti binocoli. Da Moena risalì verso il Passo delle Selle una squadra di Fiamme Oro (a quei tempi il loro Corpo si chiamava Pubblica Sicurezza ed aveva status militare), per presidiare il versante trentino, nel caso qualche colpo screstasse oltre il passo. Un’operazione in grande stile.
Quando tutto fu pronto, il gatto delle nevi portò in quota l’ufficiale osservatore, un maggiore di artiglieria, accolto da Fiorenzo che diede l’attenti alla squadra servizi già sul posto. Il maggiore, con grande sicurezza, prese possesso della propria postazione: sistemò su un leggio la cartina e la orientò accuratamente, mise a fuoco il binocolo ed agganciò il microtelefono dell’EE8 al sottogola dell’elmetto. Sembrava un direttore d’orchestra sul podio, pronto per iniziare il concerto. Dopo una breve conversazione telefonica con un invisibile interlocutore (presumibilmente il comandante di batteria giù a Falcade), il maggiore ordinò finalmente di iniziare i tiri.
Tutto si svolse in un attimo, così rapidamente che, anche pensandoci e ripensandoci, Fiorenzo non riuscì mai a collocare gli eventi nell’esatta sequenza temporale: un rombo di tuono in fondovalle, uno strano fruscio nell’aria simile allo sfrigolio di uova fritte, una grossa macchia nera comparsa improvvisamente sulla neve, appena oltre un avvallamento, a breve distanza dall’osservatorio, ed infine un botto assordante. Per alcuni interminabili secondi nessuno fiatò, i presenti si scambiarono sguardi increduli e preoccupati. Fu il maggiore il primo a riprendersi. Dopo avere sbraitato “E’ corto, è andato corto di un chilometro”, premette la farfalla di trasmissione del telefono e, per un buon minuto, rovesciò una serie ininterrotta di improperi sull’interlocutore. Poi, smaltita una prima dose di adrenalina, cercò di capire che cosa fosse successo. Il tono non era certo amichevole:”Lo so anch’io che avete puntato col falso scopo, non avete certo l’occhio parabolico, ma cosa c’entra l’azimut? Il tiro era allineato, però era corto, ha capito? Sa cos’è l’angolo di sito? Ah sì, e ha visto quelle curve sulla cartina? Sì, proprio le curve di livello, forse credeva di sparare in piano?”
Mentre il maggiore proseguiva nella sua spietata requisitoria, lo speaker della P10 gracchiò: “Osservatorio, qui base SanPel, l’ufficiale siberbo vuole sapere se va tutto bene, passo”. “Base SanPel, qui osservatorio, affermativo, va tutto bene” rispose Fiorenzo, con voce non proprio fermissima.
Evidentemente, il clamoroso cazziatone del maggiore andò a segno: non ci furono problemi con le salve successive, ed in breve la batteria mostrò la propria abilità, chiudendo una forcella sempre più stretta sull’obiettivo. Un concerto finalmente intonato e godibile, proprio come aveva predetto Marinelli.
La stessa sera, Fiorenzo montò come ufficiale di servizio al campo. All’ora del contrappello, scortato da due guardie armate di Garand, fece il giro delle baite ove, a piccoli gruppi, erano accantonati gli Alpini. Il freddo era intenso, e la neve scricchiolava sotto i Vibram. Come al solito, Fiorenzo lasciò per ultima la baita degli esploratori, ove sapeva che l’avrebbe atteso un grappino ristoratore, ottimo per affrontare la lunga camminata di ritorno.
Ma quella sera gli esploratori, oltre ad offrirgli il viatico alcolico, non si fecero sfuggire l’occasione di chiosare, con la consueta arguzia, il clamoroso near miss di poche ore prima: “Ehilà, sior serpente, meno mal che nol g’avea el capel Alpin, se no i ghe portava via la penna!”
Grigioni
Mario - Ha frequentato il 48° corso AUC nel 1967. Dopo il periodo da sergente
presso il battaglione Pieve di Cadore, ha prestato servizio di prima nomina
alla Smalp, come comandante di plotone alla Prima compagnia AUC ed istruttore
di trasmissioni. È dirigente d'azienda a Milano.
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