Prefazione di Bruno Pizzul
 

Mi sentirei di formulare un auspicio: che a leggere e capire quanto Rissotto ci regala attraverso la sua duplice testimonianza fossero soprattutto quanti non sono (stati) alpini. Capirebbero forse che l’alpinità non è fatta di folklore, raduni oceanici, grandi bevute, aprioristico e aristocratico spirito di corpo. Solo attraverso il “fare” uno può “essere” alpino: è un messaggio che si intuisce, parola dopo parola, in “La Cinque” e in “Quando spiavo gli Alpini”, dove l’autobiografico e il romanzato con sapore fantapolitico si fondono in maniera armonica e, benché le vicende siano ambientate negli ormai mitici luoghi della Smalp, alla fine risultano quasi decontestualizzate, si inseriscono a buon diritto nel filone della letteratura alpina di sempre. Che ha un suo respiro perenne, quali che siano i luoghi e i tempi. Rissotto, forte delle sue esperienze culturali e pratiche, ricorre all’io narrante, sia quando ci racconta la sua storia personale alla Cinque, sia quando si immedesima nel maresciallo Vinti, inviato sotto mentite spoglie a spiare najoni e ufficiali alla Scuola di Aosta, supposto covo di fanatici sovversivi. Ne risulta un modo di raccontare diretto, immediato, coinvolgente. Nell’un caso e nell’altro il soggetto narrante ha un approccio personale a dir poco cauto verso il mondo degli Alpini, ma un po’ alla volta ne resta catturato, attraverso un percorso di purificazione fatto di fatica, smoccolamenti, marce forzate, sottoposizione gerarchica, capacità di dare un senso e un valore ad azioni e costrizioni apparentemente assurde, venate agli occhi degli altri e dei neofiti da un gratuito sadomasochismo.

Rissotto è abile affabulatore, sa come dire le cose, avvince nella lettura, e raccontando il sofferto “fare” traccia quella sorta di catarsi che porta poi ad “essere” alpino. Il rischio sempre presente dell’autoreferenzialità (“quanto siamo bravi e belli noi Alpini”) è scongiurato proprio dal fatto che l’AUC Rissotto e il maresciallo Vinti arrivano ad Aosta con dubbi assai maggiori delle certezze, si predispongono a un’esperienza personale ritenuta in partenza poco gratificante o addirittura inutile. Poi invece…

Come insegna Mario Rigoni Stern, al di là delle cose e delle attrezzature che si hanno a disposizione, delle divise e dei metodi di addestramento, in fondo è sempre la montagna ad imporre le sue regole e ad insegnare i comportamenti, minimo comun denominatore per l’alpino, per ogni alpino. Che è e resta tale, quando indossa la divisa e quando, congedato, porta con se il patrimonio di valori imparati e assimilati in servizio: non sarebbe altrimenti spiegabile la naturale vocazione alla solidarietà, alla condivisione delle esigenze, che caratterizza l’opera delle Sezioni e dei Gruppi ANA. Basti pesare a quanta alpinità c’è nei servizi della Protezione Civile e (perché no?) anche nei momenti di festosa aggregazione popolare, che sono sotto gli occhi di tutti. La cancellazione di storiche Brigate, l’eliminazione della leva obbligatoria, le diverse logiche che guidano la nuova organizzazione delle Forze Armate, la stessa chiusura della Smalp generano inevitabili nostalgie o qualche preoccupazione, ma lo spirito alpino finirà comunque per sopravvivere, anche grazie a testimonianze forti e suggestive come quelle che ha articolato Rissotto.

A noi vecchi gli Alpini di oggi sembrano diversi, temiamo che fatichino ad assorbire lo spirito tradizionale, ma sono pur sempre Alpini e il loro “essere” potrà più facilmente realizzarsi mantenendo vivo il cordone ombelicale con il passato, operazione che potrà essere facilitata dalla conoscenza del passato stesso. Al proposito va segnalata con soddisfazione l’attività del Comitato Editoriale che, sulla scia del successo ottenuto dall’antologia di racconti alpini “In punta di Vibram”, dà ora alle stampe “La Cinque” e “Quando spiavo gli Alpini”, primi passi di un’auspicabile creazione di una vera e propria collana di letteratura smalpina, ma non solo. Raccolta di testi, distribuzione, promozione dei lavori avvengono in modo del tutto particolare, si potrebbe quasi dire artigianale se non ci fosse il supporto delle più moderne tecniche comunicative. Ma è lo spirito alpino che vivifica il tutto, nobilitato dalla destinazione dei proventi alla Fondazione Don Carlo Gnocchi.

Un grazie particolare, poi, alla Vibram, ormai pienamente coinvolta nel progetto e agli Editori che hanno dimostrato una particolare sensibilità.

Buona lettura e un bravo di cuore al “bocia” da un “vecio” del 28° corso AUC della SMA di Aosta.

Bruno Pizzul

Torna all'indice de "La Cinque"