Il loden di Mario

È la prima volta che posso incontrare Mario Rigoni Stern, dal vero e non attraverso la lettura di un suo racconto o di una delle sue lettere, che aspetto sempre con trepidazione.
Ho saputo di questa rara occasione da Silvio Botter, consigliere nazionale dell'ANA, varesino come me. Da quindici lunghissimi giorni attendo che arrivi il momento della consegna del Premio Chiara alla carriera, attribuito a Rigoni dalla città nella quale sono nato e cresciuto, nella sede della Provincia, a due passi da dove, leggendo i libri di Rigoni, ho sognato di potere anch'io, un giorno, diventare Alpino.
Chissà con chi avrà cenato Rigoni ieri sera e dove i miei concittadini l'avranno ospitato? Chissà di cosa avranno parlato… Di montagna?
Devo intanto trovare un varco fra le centinaia di intervenuti, festanti ed agguerriti, per tentare di supplire in qualche modo all'esclusione che mi ha inflitto la mia città, forse perché lavoro e vivo a Milano da troppo tempo.
Tra la folla accorsa a Villa Recalcati ritrovo molti amici e, in presenza di tante Penne Nere, mi armo del coraggio necessario per mettermi il più vicino possibile al mitico sergente, già provato dalla raffica di interviste con le quali i giornalisti lo stanno torturando.

Rigoni si apparta con una troupe della RAI, in un angolo riservato degli ampi saloni dell'ex Grand Hotel Excelsior e io, noncurante degli sguardi minacciosi di alcuni emissari degli organizzatori, mi apposto per intercettarlo non appena l'ennesima intervista sarà finita.
Così accade; però non riesco a cogliere l'attimo, perché prima si intromette una vecchietta, sbucata da chissà dove, per porgli un improbabile quesito sugli alberi; poi una coppia di mezza età gli sottopone un malloppo di libri che il nostro dovrebbe firmare sur place, seguita quindi da un'altra coppia di giovanissimi, che gli dichiara il proprio affetto e la cui lei, visibilmente commossa, trova in ogni caso la verve per mettersi velocemente al suo fianco e farsi immortalare dal marito accanto al proprio mito.

"Sono Paolo Zanzi" riesco a dirgli un po' impacciato, mentre l'altoparlante reclama il festeggiato sul palco e nel pubblico serpeggiano domande allarmate, del tipo: "Dov'è Rigoni?", "Chi ha visto Rigoni?".
"Sa, è per quella iniziativa..." esordisco.
"Mi deve scusare, ma sono assediato dalle richieste..." risponde Rigoni tendendomi la mano, che finalmente riesco a stringergli.
"No, no" balbetto "lei il suo contributo ce l'ha già mandato, anzi volevo ringraziarla di persona... È quello sulla Scuola Militare Alpina, ricorda? Anzi pensavamo che, quando sarà pronto il libro, noi ex allievi della Smalp potremmo venire a portarglielo ad Asiago."
"Sì, va be', vedremo... Però… Però ci sono delle cose ancora da sistemare. Va bene per 'Testafochi' tutto attaccato, ho capito, ma per la 103… per la 103 proprio no!"
Oddio, adesso l'ho fatto proprio arrabbiare, penso, ma guarda se quel benedetto nipote di Fil 121 doveva mettermi in questa situazione, per una volta che, nella vita, mi capita d'incontrare Rigoni a tu per tu!
"No, mi scusi..." cerco di giustificarmi, mentre Rigoni, paziente ma un po' seccato, incalza: "È una peculiarità del Corpo che i numeri delle compagnie, dal generale all'ultimo conducente, siano cardinali e vengano detti e scritti senza flessioni. Quindi vi prego di attenervi al mio testo e di scrivere 103 e non centotreesima!"
Comandi! mi vien voglia di rispondergli, visto che praticamente sono già sull'attenti, mentre lui, attirato dagli insistenti richiami dell'altoparlante, comincia a cercare senza esito il suo loden, ed io, con una gran botta di fortuna, mi faccio perdonare il misfatto alpino-letterario scovandoglielo tra un mucchio di cappotti abbandonati su un tavolo distante.

Rigoni è sul palco e la cerimonia ufficiale può cominciare. La sua bella barba candida catalizza l'attenzione di tutta la platea che, così prevede il programma, si deve prima gustare gli interventi di rito e le dotte prolusioni. È un momento di festa e va bene così: anche le parole ed i gesti simbolici servono ad onorare un personaggio semplice ma, nel contempo, davvero grande!
Il pubblico applaude, anche se alcuni proprio non riescono a sentire, poiché la disposizione dei posti a sedere segue lo svolgersi dei meandri dell'ex Hotel Excelsior, non tutti raggiunti da monitor e diffusori.
Pazienza, è un giorno di festa e tutti applaudono ugualmente i diversi oratori, soprattutto perché vogliono anch'essi onorare lui, il Sergente nella neve, che si schermisce, che annuisce, che ricambia gli applausi e che, si vede ad occhio nudo, è felice come un ragazzo.
Finalmente è il suo turno e con piglio deciso, proprio come poco fa mi aveva redarguito sulla grafia della "103 compagnia alpieri", interrompe la standing ovation che non accenna ad esaurirsi.
Parla con voce suadente e chiara e, quasi per un miracolo acustico (forse perchè finalmente è cessato ogni brusio in sottofondo), le sue parole risultano comprensibili in tutti gli angoli in cui è sistemata la gente.
Racconta della sua amicizia con Piero Chiara e di tutti gli affetti che lo legano da sempre a Varese, di quel filo misterioso e continuo che esiste tra il capoluogo prealpino e l'Altopiano, fin dal 1916, quando i suoi abitanti ("la mia gente" dice Rigoni), sfollati in seguito ai fatti bellici, trovarono presso i varesini accoglienza fraterna e mai dimenticata. Parla di Giovanni Pirelli, suo compagno in Russia, ricorda fatti e persone in modo commosso ma anche spiritoso, ha lo sguardo vivace e grato quando ringrazia tutti per il prezioso riconoscimento, per la festa e per l'affetto di cui si vede circondato.

Adesso è il momento anche degli Alpini: entra il coro "Penna Nera" di Gallarate diretto dal suo maestro poco più che ventenne, bravissimo, che comanda a bacchetta una ventina di veri veci, ugualmente bravi. Vestono un maglione rosso fuoco e Rigoni viene chiamato a raggiungere il loro schieramento poco prima che intonino Nikolajevka. Sono belli a vedersi.
Canta insieme a loro e poi, al termine di Joska la Rossa, la commozione che aveva ripetutamente ricacciato, trova sfogo in un pianto irrefrenabile e l'eroe che ha superato la ritirata di Russia, colui che alpini definivano "cagà dal demonio!" per sottolinearne la capacità di sopravvivenza, ammette di fronte a tutti di essersi commosso perchè quella canzone l'ha composta un suo carissimo amico, gravemente ammalato.
Il pubblico cerca di consolarlo con un lungo calorosissimo applauso e Rigoni, rinfrancatosi prontamente, si avvia con passo spedito verso il palco, dove si mette a disposizione per firmare intere raccolte di libri scritti da lui e che Varese si è portata appresso per l'occasione.
È un piacere vederlo adesso, sereno e sorridente, dopo il triste momento passato, intento a chiedere il nome a chi gli sottopone il volume per dedicarglielo, con tanto di data e cercando sempre formule diverse, magari create ad hoc dopo qualche rapido scambio di battute con l'interessato.
È circondato da tanta gente che gli vuole bene, disposta a pazientare nella lunga coda e disposta a rinunciare al buffet, che presto sarà spogliato da chi è presente solo per il fatto mondano.
È una festa e va bene così, che ci sia anche chi brinda, chiacchieri e si diverta: è la festa di Mario, come lo chiama la speaker-organizzatrice della manifestazione, che ha visto tanta televisione ma che si riscatta facendogli arrivare, come per incanto, una coppa di spumante perché si disseti e brindi anche lui al proprio trionfo varesino.

Raggiungo il palco insieme ad alcuni degli alpini presenti: vorremmo organizzare una foto di gruppo, ma la folla è talmente fitta che desistiamo e chi ha altri impegni saluta con rammarico e va a raggiungere la famiglia.
Rigoni continua a conversare con gli astanti, al loro turno per l'autografo, e con Nelson Cenci (il "tenente Cenci" de Il sergente nella neve, autore di bellissime poesie e del romanzo Ritorno; rinomato medico specialista oggi ritiratosi in Franciacorta come produttore di ottimo vino) suo grande amico del quale sono stato paziente, scambia anche qualche battuta estemporanea e salace per alleggerire il lungo impegno.
Condivido quest'atmosfera intensissima ed appagante con Antonio Verdelli, Capo Gruppo della sezione ANA di Varese, il quale dice a Nelson che presto organizzeranno un'occasione "tutta alpina" per far tornare Rigoni a Varese. Parliamo ovviamente della nostra antologia Smalp, In punta di Vibram, e Antonio, saputo della generosa sponsorizzazione dell'azienda varesina e da ottimo nipote del 107° AUC qual'è, mi dà subito la sua disponibilità a collaborare per organizzare a Varese una serata di presentazione del nostro volume, soprattutto quando gli dico che il ricavato della vendita sarà interamente devoluto alla Fondazione Don Gnocchi.
Si è fatto tardi ed è l'ora di accomiatarsi, non prima però di essere stati gratificati da qualche foto di Carlo Meazza che ci ritrae accanto a Rigoni e a Cenci, dopo avere scambiato a nostra volta qualche battuta con loro ed aver sentito l'ultima risposta di Rigoni ad un giovanissimo giornalista che gli chiede quale messaggio vuole dare ai ragazzi che si accostano alla lettura dei suoi libri: "Io di messaggi, tanto per cominciare, non ne voglio dare: ai giovani dico semplicemente, spegnete il televisore, fate tanto sport ed innamoratevi, perchè nell'amore risiede il vero significato della vita!"
Sono finalmente seduto accanto a lui e, come se avesse parlato un mio fratello maggiore, prima che riesca a mordermi la lingua, mi scappa da dire: "E questo non è neanche un messaggio!". Rigoni si volta verso di me, mi guarda serio ed io, come qualche ora prima in occasione della lisciata sulla 103, temo il peggio!
Poi si rivolge al giovanotto e, con mio grande sollievo, conferma: "E non è neanche un messaggio, è una grandissima raccomandazione!".

Ritrovo il suo loden, cercandolo tra i pochi rimasti in una sala attigua: sono sicuro che sia il suo perché ho visto che, per riconoscerlo dagli altri, Rigoni controlla che al centro del collo ci sia una piccola imbastitura fatta a punti larghi con del filo rosso.
Glielo porto, lo controlla e, trovato il rosso ricamo, colgo anche l'approvazione ed il compiacimento della signora Rigoni, probabile autrice di quel prezioso contrassegno, che lo aiuta ad indossarlo.
Si volta ancora verso di me ed io, prima che lui cominci a parlare, gli dico:"Grazie di tutto!"
"Grazie a lei e arrivederci " risponde, accennando un sorriso e stringendo saldamente la mia mano per il saluto di commiato.
Adesso sono sicuro che il Grande Vecio mi abbia perdonato la terribile figliata sulla "103 compagnia alpieri".

Paolo Zanzi - 48° AUC
Direttore del comitato editoriale

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