La Foto
di Umberto Usmiani

 

Lo vidi con la coda dell’ occhio mentre passava dalla carraia e presentava un mucchio di carte all’Ufficiale di Picchetto. Mi dissero poi che era sceso da un’auto dei Carabinieri.
Il caldo era tremendo, quel tipo di caldo che uno mai si aspetterebbe ad Aosta e che rendeva il cortile della Testafochi una spiaggia tunisina bruciante di sole. Stavo costeggiando le palazzine per raggiungere il Circolo, quando l’altoparlante tuonò: “Il Sottotenente Usmiani al Corpo di Guardia”. Un lieve sentore di grane mi avvolse.
“Ciao Usmiani” mi accolse l’Ufficiale di Picchetto “ce n’è un altro per te”. “Un altro”, nel nostro gergo di “vecchi” di 22 anni, voleva dire un altro di quei poveretti che, usciti per pena scontata da Peschiera, rientravano al Corpo per fare quegli scampoli di servizio militare che la pena aveva interrotto.
Chissà perchè capitavano tutti a noi. Ragazzi spesso violenti, rovinati da un regime carcerario che si diceva fosse durissimo, oppure veri e propri criminali giovanili per cui il soggiorno sulle rive del Lago di Garda sarebbe stato solo uno dei tanti ricordi simili della loro vita.
Per noi della Compagnia erano più che altro una nuova fonte di grane: uno di loro qualche settimana prima aveva tentato, ubriaco fradicio, di togliersi un tatuaggio fatto in galera con una lametta da barba e quando avevamo cercato di fermarlo si era asserragliato in un gabinetto, impugnando un Opinel di quelli grandi ed urlando “Non mi prendete!” E mi era toccato scovarlo.
Un altro era talmente gentile, subordinato e scattante, che tutti avevamo imparato a stimarlo. Poi una sera un Alpino, tornando dalla libera uscita, mi aveva confidato di averlo visto parcheggiare una Porsche dalle parti della Cogne. Segnalazione ai CC e risposta all’ interrogativo. In un mese, e nell’esiguo lasso di tempo della libera uscita, era riuscito a metter su un gruppetto di vialine che gli procuravano un extra reddito di tutto rispetto. E pensare che i suoi compagni meno imprenditoriali spendevano il loro tempo da Papà Marcel ...
“Come ti chiami?”
“Soldato Francescutti Eraldo, comandi!”
Il “soldato” Francescutti avrà avuto sì e no 20 anni, un’aria da studente un po' dimesso con gli occhiali tenuti insieme dal cerotto, una divisa quasi bianca dalle innumerevoli lavature, una sbardella su cui si notavano ancora i fili di un’antica cucitura. Stava fisso come un palo ma non dava l’impressione di un granitico soldato della Alpi. Tutto in lui comunicava disagio, inquietudine, anzi paura.
“Quanto sei stato lì?”
“18 mesi Signor Tenente” e poi un silenzio assoluto. Solo, al momento di dargli la branda, una preghiera sussurrata con un tono un po' concitato:
“La prego, la prego, potrei avere una branda da solo?”.
“Da solo?”
“Sì. Lontano dagli altri”.
Avrei potuto chiedergli il motivo di questa sua scelta, decisamente in controtendenza. Generalmente “quelli” cercavano compagnia, notizie fresche del mondo, nuovi amici. Lui invece chiedeva pace e protezione dal gruppo e la chiedeva con uno sguardo, una voce che dicevano molto più di ogni commento. Con il Capitano decidemmo di farlo dormire in Fureria.
Inutile dire che, appena sistemato e messo a spazzare le camerate (tipo rudimentale di ergoterapia diffusissimo sotto naja) mi precipitai a leggere il suo fascicolo. Caporalmaggiore Comandante della Guardia, a causa di quei tipici disguidi che conoscevamo tutti era montato di servizio per tre settimane consecutive. Una sera, stanco morto, aveva accettato le offerte degli Alpini: “Dai, va’ a dormire, i cambi ce li organizziamo noi”.
L’ispezione, alle 4 di mattina, aveva trovato la polveriera senza guardia. Il nostro dormiva e con lui tutte le mute. 18 mesi di carcere.
Francescutti non divenne popolare; penso anzi che molti non lo avessero neppure mai notato. D’accordo con il Capitano (che, tanto per chiarirne la psicologia, si autodefiniva “Capitano dopo Dio”) lo imboscammo rendendolo quasi trasparente. Non parlava quasi mai, non usciva in libera uscita se non (confesso che una sera lo seguii) per andare ad affrancare ed imbucare qualche lettera. Come se volasse silenzioso sulla vita. Non parlava di “giorni all’alba”, era fra gli ultimi ad entrare in mensa. Eppure dalla cartella personale usciva l’immagine di un sano ragazzo di montagna, impegnato nel sociale, giocatore di una squadretta locale di calcio.
Mancavano pochi giorni al suo congedo definitivo quando un mattino, sulle scale, mi fermò.
“Signor Tenente, signor Tenente...”
“Dimmi”.
“L’altro giorno ho visto che fotografava i ragazzi che saltavano la jeep.” Silenzio.
“Allora ?”
“Lei ha una macchina fotografica!”.
Mi sembrava di parlare con uno scemo. Ancora un silenzio e poi, con sforzo evidente, la richiesta:
“Mi farebbe una foto?”.
Ci pensai su un istante e pensai di avere capito.
“In borghese ?”
“No! In divisa!!!”
“Adesso?”
“Mi cambio e arrivo”
Per quale motivo, a pochi giorni dal congedo, ’sto matto volesse una foto in divisa non potevo capirlo. Gli altri non vedevano l’ora di togliersela (salvo piangere durante il Silenzio Fuori Ordinanza) e lui... Ma eccolo tornare! Divisa perfetta, cappello un po' tirato, penna leggermente fuori ordinanza. Grande, inconsueto sorriso.
“Ma perché vuoi ’sta foto?”
“Beh...” Imbarazzo. “Noi in famiglia siamo sempre stati Alpini. Allora quando mi è venuto a trovare “lì” mio papà, mi ha detto che sbagliare si può sbagliare e che non era tutta colpa mia e che a casa c’era sempre posto per me. Ma che se per caso mi avevano buttato fuori dagli Alpini era una tale vergogna che era meglio che non tornassi.”
Quando parlo della mia vita militare con gente che magari non ha mai visto una caserma, salta spesso fuori la domanda: “Ma che senso aveva?”.
Ancora oggi, passati 30 anni, non saprei spiegarlo bene.

Diciamo che ho una risposta nel cuore che, come tutti i sentimenti profondi, fatica ad essere espressa in parole. Francescutti, suo papà, il suo paesetto furlano dove essere radiato dagli Alpini era una vergogna, ne sono una parte molto importante.

 

Umberto Usmiani, figlio d’arte, ha frequentato il 72° Corso alla Smalp ed ha prestato il servizio di prima nomina alla 41, I Lupi del Btg Aosta.
Dirigente aziendale ha svolto numerosi incarichi all’estero, soggiornandovi per lunghi periodi. E’ rientrato in Italia nel corso del 2006, con una gran voglia di restarci per sempre e di recuperare i contatti e le amicizie che, fatalmente, la distanza aveva un po’ “stemperato”.
I suoi hobbies sono:  lettura, viaggi, guida in fuoristrada, trekking, giudice internazionale di esposizione canina e .... troppi altri

La sua citazione preferita è tratta da Bertod Brecht: “Mi sedetti volentieri dalla parte del torto avendo compreso che dalla parte della ragione i posti erano già stati tutti prenotati”

 

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