Fratelli alpini

Camminavamo, da forse due ore, nel gelido mattino del 25 gennaio 1943 in una foresta di alte conifere sove si era occultati dall'aviazione nemica, ma dove i russi, partigiani e regolari, si accanivano contro la colonna; ed il procedere verso ovest aveva come prezzo una continua scaramuccia sui fianchi ed in retroguardia.

Mi trovavo di retroguardia, bisognava star sotto per non esse tagliati fuori e le munizioni si bruciavano con facilità: così continuava uno stillicidio nostro e russo.

Gli alpini caduti rimanevano insepolti e noi li guardavamo sentendoci in colpa. Nulla però in quel momento potevamo fare. I vivi sapevano che cadendo nulla gli altri potevano fare per loro.

Si recuperavano i feriti mandandoli avanti nel nucleo centrale della colonna dove c'era, forse, più modo per salvarli.

Da poco era finita una scaramuccia in coda alla colonna ed io procedevo tra gli ultimi. Tre alpini solo erano alle mie spalle. Vedo in quel momento un alpino che, in ginocchio vicino ad un caduto, soffre lacrimando in silenzio. Chiedo avanti e mi dicono che è il fratello e non lo vuole lasciare.

Comprendo immediatamente che non c'è tempo da perdere: esitare pochi minuti in più vuol dire morti o prigionieri. Bisogna portarlo via ad ogni costo, anche se sembra disumano strappare un fratello da un fratello.

Mi avvicino deciso come se sapessi tutto, per non perdere tempo, e gli dico: "Coraggio! Non c'è più tempo da perdere! Bisogna andare avanti!". Mi guarda e con un singhiozzo represso mi dice: "È mio fratello, non posso lasciarlo".

- Andiamo, cadrai prigioniero e non risolvi niente, capisco il tuo dolore, tu almeno devi tornare...

- Era una medaglia d'argento della guerra d'Africa.

Questa frase svelò maggiormente il suo intimo dramma. Non credeva che il valoroso fratello maggiore nel quale riponeva ogni fiducia, tutta la sua sicurezza, potesse cadere. Non poteva ammetterlo, non poteva lasciarlo senza sentirsi solo.

Ci misi tutto il calore possibile e usai tutta la mia forza per metterlo in piedi e trascinarlo via sottobraccio.

Camminammo per un poco, ripresero i colpi delle armi e loro e nostre, che avevano suoni tanto diversi; e lui, sgusciando dal mio braccio, riprese l'arma e tornò ad aprirsi la via.

Vittorio Zanotti
Da "Liguria Alpina", n.3, gennaio 1965

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