Tornando a Casa
di Marco Scarani

 

Era un Venerdì di fine Settembre. Ines uscì da scuola stanca ma felice. La settimana era finita e davanti a lei c’era la prospettiva di un tranquillo fine settimana. Frequentava la quarta elementare nel piccolo paese di Riva di Tures, in quella splendida valle che da Brunico sale verso Nord fino al confine con l’Austria. Faceva quel sentiero tutti i giorni di scuola, sia all’andata che al ritorno. Avrebbe potuto percorrere a piedi anche la più agevole ma più lunga strada asfaltata che, dopo sei tornanti in salita, l’avrebbe condotta al suo maso. Ma quella strada era trafficata e di conseguenza più pericolosa, e lei preferiva di gran lunga passare da quello che oramai chiamava il “suo” sentiero.

Camminava rapida nel silenzio, e in silenzio ascoltava i suoni del bosco che a lei sembravano come una musica lieve che accompagnava i suoi passi. E conosceva ormai ogni angolo di quel sentiero e quasi ogni uccellino sugli alberi, tante erano le volte che l’aveva percorso. Ma quel signore che incontrò quel giorno non l’aveva mai visto prima.

Li aveva incontrati tante volte gli Alpini. Salivano a passo rapido almeno quanto il suo, seppur carichi di zaini, fucili e tanti altri oggetti che non sapeva riconoscere. A malapena riconosceva qualche volta una grossa radio portata sul davanti da uno dei soldati, o quello che per lei era semplicemente “il cannone” che sporgeva abbondantemente sopra le spalle del malcapitato di turno. Incontrarli le metteva addosso allegria perché loro, sorridendole, la salutavano. Una volta che li aveva incontrati fermi durante una sosta uno di loro le aveva persino offerto del buonissimo cioccolato, salutandola in un dialetto italiano che lei aveva compreso a fatica pur essendo lei di lingua italiana. Soprattutto li trovava belli da vedere, tutti vestiti uguali, tutti ordinati in fila….e con quei buffi cappelli con la penna sulla testa.

Ma quell’Alpino, lo capì subito, era diverso da quelli che aveva sempre incontrato. Camminava da solo, senza fucile, e con un piccolo zaino sulle spalle. Sembrava anziano, più o meno dell’età di suo nonno. Il passo era sicuramente più lento e affaticato di quello dei giovani ed allenati soldati. Ines con passo rapido lo raggiunse sul sentiero ma rimase dietro di lui senza superarlo. Notò subito che la divisa era diversa da quelle “a macchie” che aveva sempre visto. Era tutta verde, d’un verde spento, e sembrava avere percorso molti sentieri indosso a quell’Alpino. Ancor di più fu colpita dal suo cappello. Era diverso, molto usurato e più deforme e schiacciato rispetto ai soliti cappelli.

Il vecchio Alpino si accorse di lei e si fermo sul sentiero per lasciarla passare. Lei esitò un attimo, guardandolo curiosa, poi lo superò salutando con un “buongiorno” educato. L’Alpino rispose: “Buongiorno” con voce gentile. Ines sapeva che se avesse proseguito con il suo passo in pochi attimi lo avrebbe lasciato indietro perdendolo di vista. Ma quell’Alpino strano la incuriosiva e voleva sapere dove stesse andando così da solo.

Fece finta allora di fermarsi a raccogliere delle more in un rovo che ben conosceva. Aspettò finchè l’Alpino non riguadagnò quei pochi metri che lo separavano da lei.

“Di nuovo buongiorno” disse lei “Sta andando al rifugio ?”.

Il vecchio Alpino si fermò e Le sorrise togliendosi il cappello e asciugandosi il sudore dalla fronte.
“No, non vado al rifugio” disse brevemente.

“Io sto tornando da scuola. Vado a casa” disse Ines
“Anche io sto andando a casa” disse il vecchio che nel frattempo aveva tirato fuori una borraccia per dissetarsi.

“Abita qui vicino ?” chiese Ines “Io abito qui ma non l’ho mai vista prima”.

“In un certo senso. Ho abitato qui, ma è stato molto, molto tempo fa” rispose lui.

“Ero sicura di non averla vista. E dove abitava quando molto tempo fa viveva qui ?” chiese lei.

Il vecchio allora la guardò per un attimo. Poi Le chiese se volesse dell’acqua dalla sua borraccia. Ines annuì e allungò la mano prendendo la borraccia. Beve solo un sorso, quasi avesse accettato più per cortesia che per sete, poi porse di nuovo la borraccia al vecchio guardandolo curiosa e aspettando la sua risposta. L’uomo rimise senza fretta la borraccia nello zaino, poi rialzò lo sguardo verso Ines e, compresa la sua curiosità, si sedette su di un grosso masso che era al margine del sentiero.

“Sono stato soldato qui…sottotenente..” disse allora il vecchio “..ma è stato cinquant’anni fa. Non era tempo di guerra. Sono stato fortunato perché la guerra era già finita da dieci anni”.
           
            Ines lo guardava con occhi quasi sgranati. La sua curiosità iniziale aveva trovato ora una ragione. Voleva sentire quale storia potesse raccontarle quel vecchio Alpino. Una storia che sarebbe stata forse simile a quelle, bellissime, che le raccontava suo nonno Josef quando viveva ancora con loro, prima di andare in cielo. Anche suo nonno Josef era stato un Alpino.

“Come ti chiami ?” le chiese l’uomo.

“Ines” rispose prontamente lei.

“Vedi Ines…quando ero Alpino passai molti mesi tra queste montagne, camminando tra questi boschi e anche su questo sentiero. Anzi, proprio questo sentiero lo percorsi più volte con la mia compagnia. E l’ultima volta, quando ormai mi mancava un mese al congedo, venimmo in tre, il capitano, io e un altro sottotenente arrivato da poco. Ci fermammo a riposare proprio vicino ad un maso, che è circa duecento metro più in su, vicino ad un fontana ricavata nel tronco di un albero.”

“E’ casa mia” pensò Ines, ma non fece in tempo a dirlo perché il vecchio riprese a parlare.

“Quel giorno avevamo finito l’acqua nelle borracce e chiedemmo ai padroni del maso di poterle riempire a quella fontana. A quei tempi gli Alpini non erano ben visti da queste parti e la nostra educazione era fondamentale per poter mantenere dei buoni rapporti con la gente del luogo.”

Ines ascoltava in silenzio mentre l’uomo proseguì il suo racconto:

“Fu allora che la vidi. Una ragazza bellissima, dai capelli castani chiari e due occhi più verdi di questi prati. Mentre chiedevamo a suo padre di poter riempire le borracce lei mi sorrise restando semi nascosta nella penombra della stanza. Suo padre le disse di tagliare dello speck con del pane nero da offrirci. Così potei sentire il suo nome: si chiamava Cristine.”

“ E poi cosa successe?” chiese allora Ines.

“In quei pochi minuti che trascorsi nel maso ci scambiammo sguardi e sorrisi. Ma poi il Capitano disse che era tempo di rimetterci in marcia. Dovevamo effettuare una ricognizione per una marcia che avremmo fatto con la Compagnia il giorno dopo. Ringraziammo il padre di Cristine per l’ospitalità e ci rimettemmo in marcia. Ma uscendo dal maso Le sorrisi di nuovo e le dissi “Ciao” timidamente. Lei rispose “Ciao” e ricambiò il mio sorriso con il suo, dolcissimo. Il giorno dopo passammo con la Compagnia davanti al maso ma senza fermarci. Io scrutai da lontano le finestre per cercarle di scorgerla, ma non la vidi. E non la vidi mai più.

“Come mai ?” disse Ines.

“Dopo quella marcia altre esercitazioni mi portarono lontano dalla caserma per molti giorni ed il momento del congedo arrivò molto più velocemente di quanto mi sarei aspettato. Gli ultimi giorni l’euforia per il prossimo ritorno a casa mi fece dimenticare quella ragazza. Oramai era finita. Oramai era solo tempo di andare a casa. E fu quello che feci, come tutti i miei compagni”

I due nel frattempo avevano ripreso il cammino. Ines restò in silenzio per un attimo, pensierosa. Poi disse:

“Come mai prima hai detto che stavi tornando a casa?”

“Lo si capisce solo dopo. Quando si arriva  a casa e comincia la vita vera, quella piena di preoccupazioni. Quando eravamo soldati ci sembrava tutto tremendo, tutto durissimo e terribile. E non si vede l’ora che finisca. Ma dopo qualche tempo, forse solo dopo qualche anno, si capisce che qui stavamo bene e che qui, fra questi monti, avevamo trascorso gli ultimi giorni veramente spensierati della nostra vita. E nel mio cuore la mia vera casa è rimasta questa. Certo, ho avuto altre gioie nella mia vita, ma quello che ho vissuto qui, con questo cappello sulla testa, non l’ho più dimenticato. E non ho più dimenticato lei.”

“Sai che Cristine era mia nonna ? Allora non era ancora sposata al nonno Josef . Quel maso  vicino a quella fontana è il maso dove abito io.”

“Lo so.. Ines…lo sapevo già.”

Ines si fermò girandosi per chiedere all’uomo come facesse a saperlo. Restò lì ferma e ammutolita a guardare il sentiero vuoto. Il vecchio Alpino non c’era più.

Tornò a casa quella sera ma non ebbe il coraggio di parlarne con nessuno. Tenne tutto dentro sé, un po’ spaventata e forse gelosa di questo segreto. Ma si ricordò di aver sentito una volta sua nonna Cristine raccontare di un bell’Alpino che veniva da Milano e che era un giorno passato di lì.

Altre volte negli anni a venire, verso la fine di Settembre, Ines incontrò quel vecchio Alpino, e insieme percorsero quel lungo sentiero che conduceva al maso.

 

 

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