Senza paura
di Mario Grigioni

 

Il reparto di formazione composto dal terzo e quarto plotone della prima compagnia, quella del capitano Beppo, marciava spedito in fila indiana sul ciglio della strada. Era diretto al Castello, ove lo attendeva la prima lezione del corso di Ardimento. Nel gruppo serpeggiava un minimo di apprensione, che qualcuno cercava invano di stemperare facendo lo spiritoso.
«Ma se stiamo andando a fare i salti dalla torre, perché ci fanno portare il Garand, lo zainetto tattico e la vanga pieghevole spaccaossa
«Secondo me, il fucile serve per dare il colpo di grazia, in caso di incidenti. La vanga…»
«Tasi, insulso! No star a dir monade. La xe naja. Naja alpina!»
Giunti sul posto, gli AUC si trovarono davanti a un mucchio di stivaletti da parà, con la suola completamente liscia e senza tacco, appena scaricati alla rinfusa da un CL . Fu ordinato di calzarli, in sostituzione dei Vibram.
Per trovarne un paio più o meno adatto, molti ricorsero a patetici tentativi di scambio:
«Chi mi dà un 42 destro, in cambio di un 43?»
«Se vuoi ti do un 43 sinistro, in cambio del tuo 42. Almeno li hai della stessa misura.»

La palestra di ardimento era costituita da una rudimentale torre di tubi Dalmine simile a un’impalcatura edile, alta una decina di metri, alla sommità della quale si trovava una piattaforma di legno. Quella era la base di partenza dei quattro esercizi previsti: telo a scivolo, telo rotondo, carrucola e traversata aerea. I primi tre esercizi erano obbligatori. Il quarto, che richiedeva notevoli doti acrobatiche, era invece facoltativo. I due plotoni presenti si alternavano nel ruolo attivo di esecuzione degli esercizi e in quello di supporto, cioè sostegno dei teli e assistenza.
Il salto nel telo a scivolo, agganciato alcuni metri sotto la piattaforma, era il più semplice e anche il più divertente: sembrava di essere al Luna Park.
Il telo rotondo non era difficile ma, visto dall’alto, sembrava davvero piccolo. In questo esercizio era fondamentale il ruolo del capo-telo. Opportunamente appostato di fronte al telo, egli ne faceva aggiustare la posizione in modo da accogliere i saltatori maldestri. Impartiva i suoi ordini al gruppo dei reggi-telo urlando «A me!» quando era necessario allontanare il telo dalla torre. Oppure «A voi!» per avvicinarlo.
La carrucola era provvista di due maniglie alle quali afferrarsi e scorreva su un cavo inclinato. Al termine della discesa si mollava l’attrezzo in corrispondenza di un letto di segatura, che attutiva la caduta.
La traversata aerea, invece, era l’avanzamento, appesi mani e piedi, lungo un cavo teso orizzontalmente fra la torre e un palo distante circa dieci metri. Roba da specialisti.
In realtà, la parte più pericolosa del corso di Ardimento era la salita sulla torre sprovvista di scale, che veniva eseguita arrampicandosi sul reticolo di tubi. Come gli indiani Mohawk, durante la costruzione dell’Empire State Building.

Completata in qualche modo la vestizione, la giornata entrò nel vivo. L’istruttore balzò su un tavolino da campo e, da quel pulpito improvvisato, arringò la platea:
«Sono il maresciallo Pasquale Lamberti, istruttore di Ardimento. Questo corso è il più importante della vostra formazione, perché mette alla prova una dote fondamentale per un buon ufficiale: il coraggio. In poche parole, attraverso le lezioni di Ardimento si vedrà chi ha le palle e chi no».
Con oratoria semplice, ma efficace, Lamberti illustrò gli esercizi in programma. Poi, sempre in bilico sul tavolino, passò in rassegna con lo sguardo le truppe e, dopo un istante di riflessione, puntò il dito in direzione di un AUC alto, robusto, dall’aria seria e motivata:
«Lei!»
«Alievo Uffiziale Kerschbaumer Franz-Joseph, comandi!» scattò l’interpellato.
«Bene, Ker, Kersch, ehm... Franz! Lei sarà il capo-telo del telo rotondo. La sua missione consiste nell’evitare che qualche imbranato si schianti al suolo. Ora, tutti in posizione: vi faccio un salto dimostrativo e poi cominciamo.»
Lamberti salì agilmente sulla torre e si esibì in un doppio salto mortale nel telo a scivolo, lasciando tutti a bocca aperta. Quindi risalì sulla piattaforma e l’esercitazione ebbe inizio.
Gli AUC arrancavano uno dopo l’altro sul traliccio, guadagnando faticosamente la piattaforma. Nonostante la modesta altezza, la sensazione di trovarsi nel vuoto era notevole. Dalla piattaforma si godeva una vista splendida e sembrava di essere sospesi nell’aria. Una volta in posizione per il salto, ci si presentava a squarciagola:
«Allievo Ufficiale Zanzi Paolo!»
Lamberti rispondeva urlando: «Via!»
Poi giù, nel vuoto.
In caso di indecisioni o ripensamenti, Lamberti superava l’impasse appioppando vigorose spinte. Nonostante il viavai continuo, nulla sfuggiva all’occhio clinico del maresciallo:
«Non faccia il furbo, lei: ha già fatto due volte lo scivolo. Salti nel tondo e torni su, per la carrucola».

Dopo qualche incertezza iniziale, il capo-telo Kerschbaumer acquisì totale padronanza del proprio ruolo e i suoi ordini «A me!», «A foi!», divennero sempre più perentori e precisi. A suo merito è giusto riferire che nessun saltatore, per quanto imbranato fosse, riuscì nell’impresa di schiantarsi al suolo.
La sorpresa del giorno fu rappresentata dall’AUC Cosimo Piovasco di Rondò, nobile genovese, in forza al quarto plotone. Cosimo apparve in difficoltà già durante l’arrampicata. Giunse sulla piattaforma pallidissimo, tentò di muovere qualche passo e si aggrappò al primo sostegno disponibile.
«Si presenti!» ordinò Lamberti, nel tentativo di sbloccarlo.
«Ehm, dunque. Un attimo. Allievo ufficiale Piovasco Cosimo. Mi sembra.»
Il maresciallo capì che si trattava di un problema serio. Approntato un cordino, agganciò Cosimo a un tubo ove lo sventurato rimase per quasi tutta la giornata, indifferente al continuo andirivieni dei compagni.
Verso sera, Lamberti decise di risolvere la situazione:
«Vede, Piovasco» gli disse con voce sorprendentemente soft. «Capisce anche lei che non può rimanere qui per sempre. Le vie di discesa sono queste quattro. Scelga quella che preferisce e io le darò una mano.»
«D’accordo, maresciallo. Vada per il telo a scivolo.»
Lamberti sciolse il cordino, accompagnò Cosimo sul bordo della piattaforma e, senza troppi complimenti, lo spinse nel vuoto. L’allievo atterrò senza problemi sul telo, tra gli applausi dei compagni. Al termine della scivolata, aveva già riacquistato il suo colorito naturale e la paura era passata.
La prima giornata di Ardimento si concluse, così, nel migliore dei modi.

Naturalmente, il vero nome di questo AUC era un altro. Abbiamo scelto quello di Cosimo Piovasco di Rondò, protagonista de Il Barone Rampante di Italo Calvino, date le evidenti analogie comportamentali. Pur se con diverse motivazioni, entrambi i personaggi, staccatisi dal suolo per salire su un albero, o su una torre, non volevano più scendere.

In retrospettiva, a distanza di tanti anni, sorge il dubbio che avessero ragione loro.

 

Mario Grigioni - Ha frequentato il 48° corso AUC nel 1967. Dopo il periodo da sergente presso il battaglione Pieve di Cadore, ha prestato servizio di prima nomina alla Smalp, come comandante di plotone alla Prima compagnia AUC ed istruttore di trasmissioni del 50° e 52° corso AUC.
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