Io e il mio Cappello Alpino
di Luigi Neirotti

 

Non è il cappello a fare un Alpino, ma il cuore. Quando ho letto questa frase su “Impronte di Vibram” sono rimasto colpito ed un po’ spiazzato. Non ci avevo mai pensato prima e forse avevo sempre inconsciamente abbinato le due cose: un Alpino porta il cappello alpino ed un cappello alpino denota un Alpino. Le due cose mi sembravano ovvie ed inscindibili. Ma a pensarci bene, anche ripercorrendo la mia storia, forse non è così.
Mio padre era un grande appassionato di montagna ed amava molto le escursioni e lo sci, che praticava prevalentemente sulle Alpi piemontesi. Prima ancora che io nascessi, pur abitando in città, frequentava le montagne non appena ne aveva la possibilità. In quel modo ha iniziato a trasmettermi l’amore per la montagna.
Nei primi anni della mia vita capitava che ogni tanto si assentasse per gite, escursioni, traversate, che al suo ritorno costituivano oggetto di racconti favolosi, documentati con fotografie e filmati in bianco e nero - di rara bellezza e fascino.
Ad un certo punto anch’io incominciai, ancora bambino, nei primi anni ’60, a muovere i primi passi in montagna. Ricordo l’abbigliamento che usavamo, costituito da maglioni e giacche a vento rudimentali, zaini di tela e soprattutto ricordo quei pantaloni di velluto al ginocchio, con i calzettoni di lana e gli scarponi. Al Sestriere, verso i cinque anni - prima ancora di andare a scuola - misi per la prima volta gli sci ai piedi.
Durante le elementari trascorrevo l’intera estate in montagna. Un anno la mia fantasia di bambino rimase colpita: una compagnia Alpini del battaglione Susa tenne i campi estivi in alta Val Germanasca, dove soggiornavo con la famiglia. Quello fu il mio primo contatto con tende, zaini, uniformi e soprattutto col cappello alpino, che costituiva l’elemento distintivo di quei militari, così lontani dal mio mondo di allora.
L’estate successiva, durante una festa degli Alpini i miei genitori mi acquistarono un cappello alpino, di quelli per bambini. Io fui molto contento di quella conquista e lo indossai sempre, da allora, nelle mie escursioni in montagna. Cominciavo a sentirmi un piccolo Alpino e quel cappello dimostrava al mondo la mia primordiale condizione di aspirante.
C’era un anziano signore che villeggiava d’estate con noi: era stato ufficiale di complemento degli Alpini durante la seconda guerra mondiale. Amava molto condurmi per brevi escursioni, che si arricchivano di racconti, aneddoti e spiegazioni sull’ambiente alpino; coniò per me il termine affettuoso di “Alpinotto”.
Negli anni a venire coltivai assiduamente, sia in estate che in inverno, la passione per la montagna, in cui trascorrevo la maggior parte del tempo libero e le vacanze. Divenni intanto atleta e sciatore agonista.
Durante il liceo fui chiamato alla visita di leva, in occasione della quale, naturalmente, manifestai il desiderio di servire negli Alpini. Gli studi universitari tuttavia rinviarono questo momento.
Ad un certo punto cominciai a sentir parlare della Scuola Militare Alpina di Aosta, provai il forte desiderio di frequentarla e pensai che per un appassionato di montagna dovesse essere il coronamento di un iter di crescita.
Cominciai ad interessarmi e scoprii che era molto difficile riuscire ad esservi ammesso come allievo ufficiale di complemento, e soprattutto che i corsi erano durissimi. Mi venne detto che il corso invernale aveva di solito meno domande di partecipazione in quanto più impegnativo degli altri. Per aumentare le mie possibilità, non volendo assolutamente rinunciare a quell’esperienza, decisi quindi di presentare domanda per quell’edizione del corso.
Una sera di inizio ottobre, mentre stavo completando gli studi universitari, venni raggiunto da una telefonata del Distretto militare che mi invitava a presentarmi ad Aosta il giorno 12 ottobre. Era il 1983 e cominciava il 113° corso AUC. Il mio sogno di frequentare la SMALP si stava avverando!
Il terzo giorno, un sereno e soleggiato mattino autunnale, ci fu la vestizione, con la distribuzione di tutto il corredo di abbigliamento. Mi venne consegnato un cappello alpino nuovo, senza penna, con la nappina blu staccata. Ritornai in camerata, smisi gli abiti civili, indossai quelli militari e con una certa emozione cominciai ad approntare il mio cappello alpino.
Vennero gli allievi ufficiali del corso anziano e ci consegnarono per i nostri cappelli delle penne, la cui metà superiore era stata tagliata: erano in effetti delle “mezze penne” che si tramandavano di corso in corso. Lì per lì rimanemmo male, ma ci spiegarono che non eravamo ancora degni di portare un cappello alpino completo. Prima avremmo dovuto dimostrare di meritare d’indossarlo: conquistare il diritto alla penna intera su per le montagne. Quello fu il mio secondo cappello alpino, stavo diventando un militare.
Una triste domenica autunnale feci visita a mio padre che giaceva in ospedale, ormai senza conoscenza. Arrivai con l’uniforme da allievo ufficiale ed il cappello alpino. Alla mia vista vidi come un lampo nei suoi occhi ed un breve sorriso. Poco dopo passò in cielo, per seguire meglio il mio corso.
Un mattino di dicembre, poco prima di Natale, con un bel sole che faceva brillare l’abbondante neve caduta nella notte su Aosta e sulle montagne tutto intorno, il corso anziano lasciò la scuola per la licenza di fine corso. Da quel momento, diventati “allievi anziani” al loro posto, ci fu consentito di mettere sul nostro cappello alpino la penna intera.
Prima di partire per Aosta un caro amico che aveva fatto il sergente degli Alpini mi aveva regalato, in segno di omaggio ed augurio per la mia avventura, una bella penna nuova. Fino ad allora l’avevo tenuta nascosta, ma finalmente era giunto il momento di toglierla dalla busta di carta protettiva. Con molto orgoglio ricordo che sostituii la mezza penna con la penna intera e la fissai bene con del filo da cucito. Ero diventato un Alpino e quello fu, in effetti, il terzo cappello alpino che indossai.
Gli ufficiali istruttori della scuola ci dissero che per il momento dovevamo portare la penna alquanto verticale. Solo dopo aver superato i tremila metri di altitudine avremmo potuto inclinarla e solo dopo aver fatto il campo finale avremmo potuto separare qualche barbula della penna in basso, vicino alla nappina.
Dopo il campo invernale di fine corso AUC, che si era svolto tra La Thuile, Morgex e Ville- Sur- Sarre, con la mitica prova di sopravvivenza nella truna di neve sul Col San Carlo, la penna del nostro cappello alpino prese a piegare leggermente indietro, a dimostrare che avevamo superato certe prove.
Terminato il corso acquistai un nuovo cappello alpino: un Bantam da ufficiale, che avrei indossato nel giorno della nomina a sottotenente.
Lo ritirai l’ultima sera del mio soggiorno ad Aosta, con il fregio dorato, i gradi attorno alla nappina d’ottone ed una grande penna nera. Il cambio di cappello, di forma, dimensione, colore e fregi, annunciava esternamente la trasformazione: ero diventato ufficiale degli Alpini. Era fine marzo 1984, una tiepida brezza scacciava ormai i rigori dell’inverno, e quello fu il quarto cappello alpino che indossai.
Una volta al reparto per il servizio di prima nomina, passarono rapidamente le settimane ed i mesi. Il fregio con l’aquila dorata, inizialmente scintillante, cominciò a scurirsi: era evidente che stavo diventando ufficiale anziano. Arrivato al congedo, il fregio appariva molto annerito rispetto al primo giorno, la penna un po’ consumata e soprattutto il cappello aveva preso una forma vissuta. Avevo compiuto il mio servizio.
Tornai alla vita civile, presi la laurea ed incominciai la mia professione. Restituite uniformi ed attrezzature, mi restò solo il cappello alpino.
Trascorse qualche anno, un giorno mi arrivò dal distretto militare una busta gialla con un dispaccio: ero stato promosso tenente. Acquistai i nuovi gradi da applicare. Nel frattempo però era nata la prima figliola: il mio, a quel punto, era diventato anche il cappello di un alpino papà. Si trattava in effetti della quinta evoluzione del mio cappello alpino.
Di tanto in tanto, in occasione delle adunate nazionali, di raduni o di eventi speciali, indosso il mio cappello alpino. Quando mi capita, è sempre una gioia. Magari è passato un po’ di tempo dall’ultima occasione, ma ecco che una volta sulla testa mi sembra di non averlo mai smesso, mi trovo a mio agio.
Non avrei mai pensato che a distanza di tanto tempo il mio cappello alpino avrebbe continuato a far parte integrante del mio abbigliamento e del mio guardaroba. In effetti si potrebbe quasi dire che sono stato militare quando sotto il mio cappello alpino ho portato l’uniforme dell’esercito. Perché il cappello alpino idealmente lo porto da sempre. Le diverse versioni che ho posseduto ed indossato sono servite a mostrare all’esterno la mia evoluzione nel tempo, di Alpino e di uomo.
Che mi trovi a fare un’escursione in montagna, su un pendio delle Alpi, oppure in un’aula di tribunale, in un consiglio di amministrazione o su un difficile tavolo di negoziazione in nord America o nell’est europeo, mantengo sempre il mio atteggiamento: affronto gli impegni guardandoli con rispetto dal basso verso l’alto, come si fa con una salita, cercando di scrutare le difficoltà e di valutare la strada migliore. Parto senza indugio e proseguo costante ed incurante dello sforzo e della fatica, cercando di mantenere sempre il controllo della situazione. Una volta raggiunto l’obiettivo mi piace godere del momento e scrutare tutto intorno con animo gioioso e sereno. Subito dopo comincio a individuare un altro obiettivo, più in alto e più impegnativo, che mi piacerebbe raggiungere e comincio a desiderare di conquistarlo. Non appena mi si presenta l’occasione, attacco nuovamente la salita e cerco di conquistarlo fino a quanto non vi riesco, fino al successivo obiettivo. Per me sarà sempre così, finché mi sarà concesso!

È proprio vero: non è il cappello che fa l’Alpino, ma il cuore. Forse è l’Alpino che fa e trasforma il suo cappello.

Luigi Neirotti

Luigi Neirotti, tenente degli Alpini ed istruttore militare di sci, è stato allievo scelto del 113° Corso AUC della Scuola Militare Alpina di Aosta. Ha svolto il servizio di prima nomina nel Reparto Comando e Trasmissioni della Brigata Alpina Taurinense. Sposato con tre figli, vive a Milano. Avvocato d’affari, è socio di un grande studio legale ed assiste imprese nazionali ed internazionali.

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