La conquista del Par-Mah
di Paolo Zanzi

 

Il Par-mah, il temibile 8000 himalayano, scalato sabato scorso da un gruppo di ex AUC della Smalp di Aosta.
Milano, lunedì 24 gennaio 2005 - dal nostro inviato

È proprio così: il Par-mah, la montagna che ha turbato i sonni degli alpinisti di ogni epoca e generazione, è stata conquistata sabato scorso da un’intera squadra di ex AUC della Smalp di Aosta, equipaggiati solo dell’indispensabile per compiere una normale impresa “alpina”.

L’insidioso gigante himalayano è stato finalmente domato: per la precisione alle l4 e 28 - ora locale - del 22 gennaio 2005, quando la piccozza, piantata nella neve della vetta, ha fatto garrire al gelido vento degli Ottomila il gagliardetto di In punta di Vibram.

« Non pensavamo proprio di farcela » sono state le parole di FPB140, che ci ha chiamato col satellitare. « È stata dura per tutti, dura quasi “da morire”, » aggiunge ansimando, « ma adesso siamo qui, in alto... »

Cade la linea, ma non fatichiamo ad immaginare l’intensità e la commozione di quei brevi istanti vissuti in cima al Par-Mah. Grazie al collegamento in videoconferenza dal campo base, raggiunto dal gruppo già nel pomeriggio di ieri, riusciamo a cogliere il significato ed il film della titanica impresa.

 « Ci eravamo preparati in modo molto accurato, non avevamo lasciato nulla al caso » esordisce Fil121, « il nostro gruppo era veramente affiatato e nessuno si è risparmiato, andando anche al di sopra delle proprie possibilità. Da quando abbiamo ricevuto la piccozza che pare sia appartenuta all’Alpino Don Gnocchi[vedi ns. servizio da Varese del 20 novembre u.s. N.d.R.], quelle iniziali intagliate accanto alla croce sul frassino dell’impugnatura sono state lo stimolo per portare a compimento quest’impresa, che i più consideravano pazzesca. »

« Sappiamo che le difficoltà non sono state soltanto di natura meteo... » azzardiamo.

 «  Quelle, tutto sommato » risponde Maxdel115 « sono state il problema minore. Abbiamo avuto grossi guai nella logistica, soprattutto nelle comunicazioni. Ad un certo punto avevamo perso il contatto col campo base ed anche i gruppi che lavoravano autonomamente alle diverse quote non riuscivano più ad intendersi. Per un misterioso quanto inspiegabile fenomeno, le nostre radio parevano sintonizzarsi su frequenze sbagliate; quando riuscivano a farlo correttamente, si sentivano solo fruscii assordanti e forti scariche, tipo pernacchie... Avete presente? »

« Vivere e lavorare a quelle quote, sempre in carenza d’ossigeno, è una fatica inimmaginabile » commenta Aldone49.« Abbiamo avuto anche problemi di salute, legati agli sforzi e all’alimentazione. A proposito di “scariche”, i disturbi gastrointestinali ci hanno debilitati ed infastiditi non poco. Ad un certo punto, » continua, « abbiamo temuto di essere sabotati dall’esterno e che qualcuno, per ragioni  oscure, ci spedisse cibo contaminato. Si è parlato anche di “mani non troppo pulite”, si sono fatte illazioni a destra e a manca: qualcuno ha persino messo in dubbio che l’ideatore della spedizione, PZ48-Zanzibar, avesse accordi sotttobanco col fornitore delle derrate. »

«  E come avete fatto a superare questa grossa difficoltà, che avrebbe davvero potuto compromettere la spedizione e tutti gli sforzi compiuti per raggiungere il vostro, in tutti i sensi “alto”, obbiettivo? » chiediamo via etere.

« Ancora non me lo spiego » risponde “Zanzibar”, prendendo la parola in quanto chiamato direttamente in causa.« La nostra è la prima spedizione al Par-mah a non cadere nel tranello che sembra costituire la sua autentica “maledizione”: insinuare il dubbio e il sospetto fra i componenti delle cordate. Un destino che pare promesso già nel nome: dividere le coscienze, usando ciò che “pare ma” non è. »

« Sì, è proprio così» dichiarano all’unisono Peo47, Peter75 e Fracan. « Ti sembra una cosa, ed invece è esattamente il suo contrario, non ti rendi conto di come possa capitare, ma è proprio così » precisa quest’ultimo.

« Penso che il miracolo sia avvenuto perché i miei compagni hanno potuto vedere quanto ho fatto per arrivare fino in cima, insieme a loro, nonostante fossi in grave difficoltà » prosegue PZ48. « Si sono resi conto che non ho cercato l’ossigeno della bomboletta d’emergenza, quella che avevamo concordato di tenere solo per i casi d’improvviso malore o di accertato pericolo. E che non sono tornato indietro. Hanno pensato che chi si comporta così non può abbassarsi a venire a patti con nessuno, e per ragioni così meschine come quelle circolate alle pendici del Par-mah. In un paio di occasioni ho pensato proprio di morire, perché sembrava che il sangue non arrivasse più al cervello. Altre volte ho avuto l’impressione che vi arrivasse tutto insieme, all’improvviso... Sono sensazioni strane: in quei frangenti non si è più lucidi e si rischia di dire, o peggio ancora di fare, cose che mettono a repentaglio la propria incolumità e quella degli altri. Non è capitato solo a me, sabato scorso…  »

Anche se l’immagine che ci arriva non è nitidissima, riusciamo a cogliere la fatica ma anche la soddisfazione sui volti di tutti, anche in quello di Carlo32, giunto da poco al Campo Base.

Gente incredibile, questi Alpini. Non hanno ancora finito di riprendersi da un’avventura che poteva terminare in un fiasco clamoroso o trasformarsi in tragedia, eppure gli leggi negli occhi la voglia di ricominciare.
«  E quali sono le iniziali incise sul manico della piccozza di Don Gnocchi, vicino alla croce? » domandiamo, mentre il collegamento via satellite rischia da un momento all’altro di cadere.

Carlo32 prende la piccozza del Santo e l’avvicina all’obbiettivo della telecamera. Nel frassino, accanto alla croce, è inciso: “I.P.D.V.”
«  In Pace Domini Venio » spiega raggiante Carlo. «  Sono venuto fin qui proprio per portare la notizia di persona, oltre che per stare vicino ai miei amici. Me lo ha rivelato due settimane fa il presidente della Fondazione Don Gnocchi, che ha trovato un quadernetto di Don Carlo in una soffitta della sede di Inverigo. Adesso siamo anche sicuri che la piccozza sia proprio appartenuta al Sacerdote Alpino e che, probabilmente, l’abbia seguito in tutto il suo peregrinare, in guerra ed in pace.
Il collegamento si perde e rimaniamo a pensare a quanto abbiamo appena visto e sentito: I.P.D.V., “In pace Domini venio”, Don Carlo, gli Alpini, la guerra e la pace: anche in vetta al terribile Par-mah.
Ci sarebbe da scrivere un libro.
E non è detto che, prima o poi, qualcuno lo faccia.

 

 

Paolo Zanzi ha frequentato il 48° corso AUC. Dopo un rapido passaggio al quartier generale della Taurinense presso la Monte Grappa di Torino come sergente AUC, è ritornato ad Aosta per prestare il servizio di prima nomina come sten al battaglione omonimo, nella Quarantaduesima compagnia, “La Valanga”, comandata dal grande e purtroppo compianto capitano Francesco Albarosa. Dirige a Milano un’azienda nel settore informatico. Nel 2000 ha pubblicato con altri autori “Varese. Cinquanta modi di descrivere la Città”, omaggio alla città nella quale è nato nel 1946. Già iniziatore e direttore dell’antologia “In punta di Vibram”, ha fortemente voluto trasformare quell’episodio fortunato e di successo (al quale ha partecipato anche come autore) in una collana letteraria, che attualmente dirige.

 

 

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