Un Alpino ai seggi elettorali
di Luigi Neirotti

 

Un alpino ai seggi elettorali: che emozioni, quel giugno del 1984!

È il 1984, in Italia è Presidente della repubblica un partigiano, Sandro Pertini, amato e rispettato da tutti i cittadini. Presidente del Consiglio è da pochi mesi, per la prima volta, un socialista: Bettino Craxi. La situazione politica si sta lentamente stabilizzando, tuttavia l’Italia è ancora sotto la minaccia del terrorismo. Le Brigate Rosse colpiscono quasi settimanalmente. L’inflazione sta scendendo: alla fine dell’anno raggiungerà il 10,6% mentre in quello precedente era stata del 15%. L’economia sembra riprendersi lentamente dopo anni difficili, tuttavia il debito pubblico è altissimo e continua a crescere: gli italiani investono tutti i loro risparmi nei buoni del tesoro, che offrono giocoforza tassi di rendimento elevati. L’auto più venduta è la Fiat “Uno”, che è anche “auto europea dell’anno”. La Juventus ha appena vinto il suo ventunesimo scudetto con Platini, Boniek, Rossi, Cabrini, Tardelli e Zoff e nel Napoli gioca un fenomeno chiamato Maradona. Ad agosto ci saranno i Giochi Olimpici di Los Angeles, negli Stati Uniti, ed il blocco sovietico ha deciso di rispondere al boicottaggio degli americani di quattro anni prima con un contro-boicottaggio. Siamo in piena guerra fredda, la Nato ed il Patto di Varsavia costituiscono i blocchi militari contrapposti, mentre terrificanti armi atomiche incombono sulla nostra vita quotidiana. Sugli schermi ha fatto epoca, l’autunno precedente, il film “Ufficiale e Gentiluomo” con Richard Gere e la canzone che mi risuona nelle orecchie e “Radio ga ga” dei Queen, che ho ascoltato mille volte dalla radiolina che tenevamo in camerata.
Ho venticinque anni, dopo il liceo ho frequentato Giurisprudenza e mi sto per laureare. Pur essendo sempre vissuto in città, sono molto appassionato di montagna dove, sin dalla più tenera età, ho trascorso tutte le mie vacanze, grazie alla grande passione di mio padre per le escursioni e per lo sci.
Porto le stellette da ormai otto mesi, da due sono sottotenente degli Alpini. Dopo aver accarezzato a lungo il sogno, ho frequentato il 113° corso AUC alla Scuola Militare Alpina di Aosta. Corso invernale, da ottobre a marzo, freddo, pioggia e neve in abbondanza, addestramento e disciplina durissimi.
Un giovane e carismatico capitano destinato a percorrere molta strada nell’Esercito, Claudio Graziano, ha compiuto la trasformazione di un gruppo eterogeneo ed acerbo di ragazzi, in un manipolo di validi e fidati ufficiali alpini. Quelli che erano sprovveduti giovanotti, sono ora diventati marziali comandanti di plotone.
A fine corso, per il servizio di prima nomina, sono stato destinato al Reparto Comando e Trasmissioni della Brigata Alpina Taurinense. Per un allievo scelto, fuciliere-assaltatore, istruttore militare di sci, sembrerebbe una destinazione troppo tranquilla. In realtà, mi consente di rimanere vicino alla famiglia, alla mamma: papà è mancato da poco, durante il primo mese di corso, mentre Gian, mio fratello, era Alpino della Compagnia Controcarri Taurinense. Un’esperienza dura da gestire.
In quel mese di giugno, scordato il rigore dell’inverno aostano trascorso “all’aperto”, tutto preso dalla novità della vita di guarnigione, tra servizi interni ed esterni, addestramento della truppa, mi chiama il comandante del battaglione, tenente colonnello Giacomo Giannuzzi.
Ho un ottimo rapporto con lui. Mi ha accolto molto bene ed ha subito dimostrato fiducia e stima nei miei confronti. Giannuzzi è un ufficiale vecchio stampo, che svolge il proprio compito con passione e trasporto, non per mera convenienza, non come un lavoro qualunque. Ha un’etica ed un comportamento ammirevoli.
Alla festa del 4 novembre rinuncerà addirittura ad assistere al giuramento del proprio figliolo, cadetto all’Accademia di Modena, per stare al reparto ed onorare tutti i visitatori di quel giorno.
Ad un sottufficiale che un giorno si era presentato non sbarbato, disse:
« Sergente, lei disonora se stesso e l’uniforme che indossa, se si presenta a quel modo. Guardi, non c’è mai stato un giorno in cui io non mi sia sbarbato, fossi stato anche in alta montagna, anche a costo di dover far sciogliere la neve per avere un po’ d’acqua. »
« Tenente, » mi dice, « il 17 giugno ci sono le elezioni europee. Noi siamo comandati di servizio, dobbiamo prestare vigilanza ai seggi elettorali. »
A quei tempi, infatti, ogni seggio era presidiato da militari e forze di polizia, a garanzia dell’ordine ed a rassicurazione della popolazione.
« Comandi, signor colonnello » rispondo con un misto di curiosità ed entusiasmo, senza ben intuire cosa mi stava attendendo
« Da questo momento siamo H24, » dice Giannuzzi, « lei dovrà presidiare tutta la bassa Val di Susa. »
Una zona che va da Condove fino a Susa.
Accidenti, penso, sabato ci sarebbe stato il matrimonio di Luisa, mia amica d’infanzia. È stata preparata una grande festa e non vedo gli amici praticamente da quando sono partito per il corso allievi ufficiali. Be’, pazienza, penso sempre tra me e me, la presenza dei militari ai seggi mi incuriosiva sin da bambino, vorrà dire che questa volta vivrò la cosa dal di dentro.
Mentre attraverso il cortile per recarmi in Compagnia ad organizzare il tutto, mi si avvicina un alpino della sezione “I” (informazioni).
« Comandi Tenente, un messaggio classificato, deve leggere e firmare qui. » E mi apre una cartelletta contenente un foglio di carta.
Leggo: “A seguito sparatoria giorni scorsi in Val di Susa con forze di polizia, con possibile coinvolgimento delle Brigate Rosse, informazioni riportano possibile azione di ritorsione su obiettivi militari. Massima all’erta. Riservato
Firmo.
« Grazie. »
« Comandi. »
« Riposo, riposo. »
Questa non ci voleva, penso, speriamo rimanga tutto tranquillo. Riprendo il mio ottimismo naturale e dimentico la cosa.
Il sabato mattina, il reparto comandato di servizio è pronto, e partiamo per la destinazione. Abbiamo un’AR76, una Fiat Campagnola, sulla quale viaggiamo l’autista, l’Alpino Elia, il sergente Conti ed io. Seguono due autocarri ACM59 sui quali stanno una trentina di Alpini con tanto di zaino, armi e munizioni in dotazione.
Giunti a Condove prendo alloggio presso la locale Caserma dei Carabinieri, una palazzina moderna, bassa, al centro del paese. Abituato alle caserme alpine, rimango un po’ stupito. Camere singole o doppie, mobili da abitazione privata, tende alle pareti: una piacevole sensazione. Mi viene incontro il Maresciallo Comandante di stazione. Mi accoglie con garbo e gentilezza a mi fa accomodare nel suo ufficio.
Parliamo della dislocazione della truppa presso i vari seggi elettorali ed alla fine mi dice: « Tenente, purtroppo non ci sono buone notizie. » Mi faccio più concentrato. « Potrebbe esserci un attentato, o un’azione contro obiettivi militari. Massima attenzione. »
« Grazie Maresciallo. Terremo gli occhi bene aperti » rispondo.
Partiamo per la sistemazione dei militari nei vari seggi elettorali, uno per paese. Tra me e me penso: “Qui è un problema garantire la sicurezza. Saremo in almeno trenta luoghi diversi, ogni luogo un soldato separato. Governare il tutto è impossibile”.
Avevo ricevuto un’educazione tipicamente piemontese, tutta deamicisiana, improntata ad evitare che mi “montassi la testa”. Sino ad allora ero stato studente. Sentivo in qualche modo di essere stato sempre uno spettatore, mai un attore. Mio padre, pur dolcissimo e affettuoso, non sprecava mai i complimenti. Anzi, talvolta, per spronarmi a raggiungere in fretta la laurea ed il mondo del lavoro, rimarcava il ruolo passivo, tipico dello studente.
Ora, sentivo per la prima volta di avere una responsabilità. Agli occhi degli esterni rappresentavo in qualche modo le Istituzioni, lo Stato. La cosa m’inorgogliva e mi faceva sentire utile.
Intanto Elia, gran bravo ragazzo, placido e possente, sempre taciturno, guida.  Alla fine, abbiamo percorso tutto l’itinerario previsto. Attorno a noi i faccioni dei candidati ed i simboli dei partiti campeggiano e ci fanno da scenario. È la seconda volta che si vota per il Parlamento Europeo. Le elezioni si riveleranno storiche, in quanto registreranno il famoso “sorpasso” del Partito Comunista Italiano sulla Democrazia cristiana. Il clima è euforico ed elettrizzato: Enrico Berlinguer è mancato tragicamente da pochi giorni, colpito da malore durante un comizio a Padova.
Ad uno ad uno, gli Alpini del nostro reparto prendono posizione.
« Comandi Tenente. »
« Allora, occhi bene aperti, arma sempre sotto custodia, mai in giro, divisa in ordine, ma soprattutto nessuna figliata. Ci siamo capiti! »
« Comandi tenente, d’accordo. Quando passa a riprendermi? »
« Quando sono finite le elezioni. »
« Comandi. »
« Riposo, riposo, e mi raccomando, d’accordo? »
« Stia tranquillo! »
Verso le diciotto, la sistemazione è terminata: tutti i militari sono dislocati presso la loro postazione. Sono bene accolti dalla popolazione: alcuni hanno addirittura predisposto un letto, del cibo, bevande. “Che brava gente,” penso, “gente di montagna”.
Rientriamo in caserma. Sono in stanza con un carabiniere. Parliamo un po’. Mi spiega che i servizi di pulizia vengono svolti da cameriere. Ripenso alla SMALP ed alle pulizie mattutine: quante colazioni saltate, per stendere la cera sul pavimento, per pulire i bagni, spazzare il cortile dalle foglie o sgombrare la neve!
Discorriamo un po’ di armi, e mi fa vedere la mitraglietta Beretta M 17 che ha in dotazione, oggetto per me sconosciuto. Mi viene in mente il mitico fucile Garand 56 semiautomatico in dotazione alla scuola, compagno fedele di tante marce e tante guardie. Ora ho una pistola Beretta calibro 9 corto, ma il rapporto è più distaccato, e poi non pesa quasi nulla e non devo nemmeno pulirla in cortile, con il telo tenda per terra, il freddo che mi attanaglia dopo una marcia estenuante, mentre sono ancora tutto sudato per la fatica.
Passano dieci, forse quindici minuti. Non mi sento tranquillo. Penso agli Alpini là fuori. Chiamo Conti e chiamo Elia.
« Preparatevi urgentemente, andiamo a fare un giro d’ispezione. »
« Ma tenente, siamo appena rientrati. »
« Ho detto che voglio fare un giro completo d’ispezione, voglio essere sicuro che tutto sia a posto. »
Mentre usciamo, incontriamo un Alpino dell’aliquota del nostro reparto che è stata destinata a presidiare l’alta Val di Susa.
« Comandi Tenente. Ha detto il Capitano *** di rientrare e depositare la sua pistola. »
« Come? »
« Ha detto che c’è il rischio che vi sparino contro o che ve la portino via. »
La mia decisione è istantanea. Penso: “Sono un militare, mica un boy-scout, per di più sono un alpino e come se non bastasse ufficiale. Se devo farmi sparare addosso, meglio che mi possa difendere”.
« Digli che non mi hai incontrato, che non sei riuscito a trovarmi. »
Elia accende il motore della Campagnola e comincia a guidare. Ci rechiamo in ogni luogo. Ormai fa sera, una calda ed afosa sera d’inizio estate. Ogni volta che arriviamo davanti ad un seggio elettorale, scendo rapidamente dall’auto, ginnico come non mai, verifico la situazione, controllo tutto e ripartiamo velocemente verso il seggio successivo.
La gente è un po’ stupita. Lì per lì non me ne rendo conto, ma la cosa è spiegabile: sono in tenuta da servizio e combattimento. Scarponi, cappello alpino e foulard verde al collo; cinturone, pistola nel fodero ed elmetto agganciato dietro la schiena. Non è frequente vedere in paese un ufficiale che “sbalza”.
Verso le 22 finiamo l’ispezione e rientriamo a Condove. Tutti gli Alpini sono sistemati bene. Ognuno ha ricevuto istruzione di non sostare fuori dall’edificio in cui si trova. Tutti, in qualche modo, hanno cenato. Qualcuno era addirittura circondato da ragazze, incuriosite della novità: che invidia!
Sfiniti dalla fame, cerchiamo un luogo in cui cenare. Il posto non presenta molte alternative. Troviamo una trattoria semicentrale, con pergolato sull’esterno. È estate, sabato sera, il locale è stracolmo. Chiediamo se è possibile mangiare qualcosa. L’oste ci indica un tavolo in fondo al locale. Va bene. Ci sediamo.
Elia si mette su un lato, Conti ed io di fianco, sul lato lungo del tavolo. Scegliamo di dare le spalle al muro, naturalmente, per tenere d’occhio il locale.
Tagliatelle al ragù, acqua e vino rosso per cominciare. Brasato con patate abbondanti. Dopo il secondo bis, vedo Elia che riprende colore sulle gote. Fino allora, calmo e placido, leggermente ricurvo sul tavolo, non ha parlato. Lo guardo negli occhi, annuisco lievemente, sorridendo. E lui, splendido, deglutendo velocemente un boccone da dinosauro dice:
« Tenente, ora va un po’ meglio. » Praticamente aveva consumato un pasto triplo. Dico: « Be’, sono contento, temevamo di non riuscire a cenare, ed invece ce la siamo cavata.
Arriva l’oste: « Dolce? Caffè? »
« Naturalmente, » rispondo, - « ed anche grappa. »
D’improvviso la luce scompare, il locale piomba nel buio più totale.
« Oooh! » esclama la gente. Passano secondi interminabili. “Che succede?” penso.
Trascorrono dieci secondi, la luce improvvisamente torna. Di nuovo, si sente:
« Ohhhhh! » Tutti tornano a chiacchierare ed a ridere ad alta voce, forse ancora più di prima. L’oste tranquillizza i presenti: « Nulla, non è successo nulla. »
Conti è immobile di fianco a me. Io pure sono immobile. Ci guardiamo: siamo muti, sbiancati. Pensiamo entrambi la stessa cosa. Di colpo ci è venuto alla mente l’ammonimento del Maresciallo su possibili azioni dei terroristi.
Mentre ci guardiamo, abbassiamo lo sguardo contemporaneamente. Scopriamo di avere entrambi la pistola impugnata, sotto il tavolo, pronti a reagire nell’emergenza. Guardo Conti. Conti guarda me. Intorno a noi tutti scherzano, ma noi non stavamo scherzando. Conti mi dice: « Tenente, che spavento, ma io ero pronto. »
Gli rispondo: « Pensavo fosse fatto apposta, per coglierci alla sprovvista. »
Riprendiamo un po’ fiato, il caffè e la grappa ci aiutano, per fortuna non è successo nulla. Andiamo a dormire qualche ora, domani sarà un giorno intenso che comincerà prestissimo.
Mattino presto, anzi notte di fatto, colazione e poi via veloci a ripetere l’ispezione dei seggi elettorali per verificare che tutto proceda per il meglio. Tutti in postazione.
Verso il pomeriggio prendo un attimo di pausa. Entro in un seggio, esibisco il mio certificato elettorale ed esercito il mio diritto di voto. La legge permette ai militari di votare nel seggio elettorale in cui prestano servizio. Il presidente è gentile e non pone problemi. Mi stupisco lievemente, chissà poi perché. Prendo la scheda, entro nella cabina, voto, riesco e la depongo nell’urna.
Mi fermo un attimo a pensare. Che strana la vita: chi l’avrebbe mai detto che avrei votato qui, in divisa da combattimento, armato. Ma è bello pensare che anche se siamo in armi, garantiamo la libertà di tutti e ci è concesso di esprimere le nostre scelte.
Sono felice e spensierato, sento il tepore dell’estate che avanza, dopo i rigidi mesi invernali ad Aosta a patire nel freddo e nel buio delle grigie giornate invernali e nelle lunghe notti di guardia, oppure impegnato in addestramento. Più ancora, sento il profumo della giovinezza che mi dischiude la vita adulta. Sento che sto assolvendo il mio dovere e sono soddisfatto.
Giunge la sera, le operazioni di voto volgono al termine. Alle ventidue si termina. Ottimista, come sempre, pronostico un agevole rientro. “Entro le due” penso “saremo in branda”.
Ingenuo che sono.
A mano a mano le sezioni completano lo spoglio dei voti. Si aprono le urne, le schede vengono sparpagliate sul tavolo. Inizia lo spoglio, il presidente scandisce il voto espresso per ognuna delle liste. Mi piace assistere a queste operazioni: non avevo mai partecipato e sono curioso.
Discretamente m’intrattengo sulla porta, non voglio sembrare invadente. L’uniforme che indosso e le armi che porto potrebbero sembrare fuori posto. Siamo nella massima espressione di democrazia ed un militare in armi, penso, non deve turbare questo clima.
In molti casi il conteggio si completa rapidamente. Tutto bene, il seggio chiude e il nostro militare è liberato dall’incarico. Attenti, saluto al cappello. « Buona notte a tutti, grazie e arrivederci. »
« Forza, salta sul camion, che passiamo a recuperare il prossimo. »
La routine prosegue, controllo la cartina, tutto procede regolarmente.
Siamo a mezzanotte, Elia continua a guidare, sono due giorni che lo fa, non si lamenta mai. Comincio a preoccuparmi, l’operazione va per le lunghe. Vedremo. Continuo a controllare la cartina e vedo che siamo indietro, nel tragitto che collega tutti i seggi elettorali di cui sono responsabile. Passano le ore.
Sono ormai le quattro di notte, siamo a buon punto. Arriviamo ad uno degli ultimi seggi ancora aperti (per discrezione non dirò dove). In giro non c’è più nessuno. La nostra AR arriva su uno spiazzo, l’ACM ci segue. Si scorgono le luci accese all’interno della scuola in un paese ormai addormentato. Dalle finestre illuminate traspare fumo a volontà e persone che si muovono, che discutono, che si sbracciano.
Nel silenzio della notte scendo, mi avvicino e mi fermo sulla soglia. Vedo che il mucchio delle schede votate si sta esaurendo. “Bene” penso.
Ormai la scena mi è divenuta familiare. Osservo il presidente che scandisce:
« Voto di lista al simbolo numero uno. Voto di lista al simbolo numero uno. Voto di lista al simbolo numero quattro. Voto di lista al simbolo numero tre... »
La sala è piena di rappresentanti di lista. C’è fermento. Il risultato delle elezioni si annunciava, in quei giorni, molto incerto. M’incuriosisco. Osservo meglio e noto che lo spoglio delle schede è accompagnato da molta partecipazione.
Il rappresentante del Partito Comunista ed il rappresentante di lista della Democrazia Cristiana hanno ingaggiato una specie di “derby”, molto corretto per la verità.
Evidentemente si conoscono bene, chissà quante battaglie politiche, quante discussioni hanno già animato. Per di più sono uno uomo e l’altro donna, e mi sembra che la circostanza acuisca la rivalità.
Ad ogni voto attribuito dal presidente del seggio, il beneficiario esulta ed accompagna con uno slancio del braccio il risultato conseguito, a dire “e vai così!”, come si usa fare allo stadio. Di tutta risposta l’altro, non appena gli viene attribuito un voto, replica con altrettanta esultanza plastica.
A questo punto della notte, dopo quarantotto ore in ballo, qualunque cosa serve per ravvivare l’atmosfera. La cosa si fa appassionante.
« Voto lista uno, voto lista uno » scandisce il presidente.
« Olè » esulta il primo. -
« Voto lista due, voto lista due, voto lista due » ora scandisce il presidente, ed esulta il secondo: sorpasso.
« Voto lista uno, voto lista uno » di nuovo il presidente.
« E vai! » esulta nuovamente il primo. Ri-sorpasso.
Lo spoglio si fa travolgente, il presidente incalza il ritmo, i rappresentanti duellano in un clima quasi da stadio ed incrociano gli occhi in segno di sfida ad ogni successo. Tutto intorno la curiosità cresce per vedere chi la spunterà.
Io staziono anche questa volta sulla porta, per discrezione, e seguo con divertita curiosità la vicenda fino all’esito finale. Vedo che le schede stanno finendo. Con l’occhio seguo il mucchietto che si sta assottigliando, controllo la stanza, lancio un’occhiata ai miei e mi preparo per il commiato in “tempo zero”, come avevo imparato a fare alla SMALP.
Le schede finiscono, sono quasi le quattro e mezzo e mi preparo a riguadagnare la Campagnola, quando il Presidente con aria solenne annuncia:
« Iniziamo la discussione delle schede da annullare. »
Figlio eterno che sono! Non avevo considerato questo particolare. Il sorriso che aveva illuminato il mio volto per un attimo, ora si smorza lentamente.
Un ufficiale degli Alpini, tuttavia, non perde mai l’ottimismo ed il buon umore: “Che sarà mai?” penso “una piccola discussione ed abbiamo finito”.
La discussione inizia e sperimento cosa voglia dire fare il rappresentante di lista, oltre ad esultare ad ogni voto conquistato.
« Questa scheda è nulla, perché non contrassegnata correttamente, vedete il segno è fuori dalla zona prevista » dice il presidente.
« Eh, no! Questo segno è inequivocabilmente indice della volontà di scegliere la nostra lista » replica il rappresentante di lista coinvolto.
« Ma non scherziamo! » incalza l’avversario. « Questa scheda è nulla! »
E così, di scaramuccia in scaramuccia, di scheda in scheda, si fanno beatamente le cinque. Tra me e me penso: “Non ci posso credere. Siamo qui che moriamo dal sonno, siamo stanchissimi, abbiamo pure saltato cena, e questi duellano su un segno a matita, sofisticando se l’intenzione di attribuire la preferenza era inequivoca o meno”.
Per fortuna, ogni tanto, il presidente legge qualche frase di sfogo di un elettore che invece di esprimere la propria scelta ha pensato di scrivere il proprio risentimento. E sono frasi salaci, alcune volte.
Sono ormai le cinque e trenta, la discussione sembra volgere al termine e finalmente si conclude. Salutiamo velocemente e saltiamo a bordo dei nostri mezzi di trasporto.
Elia è imbalsamato: poverino, l’avevo lasciato al volante della Campagnola e lui pazientemente aveva atteso per tutto quel tempo. Non ha neanche la forza di dirmi qualcosa se non:
« Comandi, tenente. »
« A Susa » rispondo « Andiamo a Susa, rientriamo in caserma, abbiamo recuperato tutti, avanti! »
Ormai albeggia. Per strada non c’è nessuno. Una Campagnola ed un camion dell’Esercito con a bordo un manipolo di ventenni, in quei mitici anni ottanta, attraversano le strade della bassa Val di Susa, nella calda estate del 1984, nel silenzio rotto solo dal rumore dei motori diesel.
Arriviamo in caserma che sono ormai le sei del mattino. Entriamo nel cortile e mi accerto che i mezzi vengano parcheggiati a dovere. Le armi sono depositate in armeria e gli Alpini alloggiati in una camerata messa a disposizione.
Quando tutti sono sistemati, mi viene detto che il mio alloggio è nell’infermeria.
« Mi scusi tenente, ma non avevamo posto in foresteria. »
« Non fa nulla, non fa nulla » - rispondo. « A ’sto punto basta avere un letto. » Neanche mi rendo conto di aver perso la nozione del tempo.
L’infermeria è al terzo piano della caserma, d’angolo sul cortile e gode di una vista interessante. Non vi sono tende o persiane alle finestre e sembra di essere più in un “belvedere” che in un luogo di ricovero. Proprio al centro di uno stanzone, tra vari armadietti bassi, è stata allestita una branda per me.
Mi attardo per un attimo sulla vista incantevole che si gode da quelle finestre, scruto le montagne con i nevai estivi che già scintillano al sole e finalmente, con gran sollievo, mi siedo sul letto. Levo rapidamente gli scarponi e senza svestire l’uniforme da combattimento mi sdraio.
Sento un moto di sollievo percorrere il mio corpo. Chiudo gli occhi e rilasso i muscoli con senso di liberazione totale. Percepisco le gambe che si alleggeriscono. Tiro un grosso sospiro ed incrocio le braccia dietro il collo, a porre l’accento sul relax raggiunto.
Saranno passati circa quarantacinque secondi da quando ho conquistato la posizione, quando sento un suono di tromba giungere dal cortile, per me inconfondibile dopo otto mesi: taratarataratatata…  “Non è possibile, già la sveglia?” penso. Guardo l’orologio: sono le sei e trenta! Scatto in piedi. In questi casi, penso, è meglio reagire subito, altrimenti non mi muovo più da qui.
Appena in piedi, mi stiro platealmente, annunciando ad alta voce, tra lo stupore dei presenti che non avevano visto il mio arrivo: « Come mi sento riposato! Ho dormito proprio bene. » Tra me e me, però, pensavo: “Nemmeno un minuto di sonno, è proprio incredibile.”
Tutti a colazione, poi adunata. A bordo, si parte, rientriamo alla Monte Grappa di Torino.
Incolonnati nel traffico delle persone che vanno a lavorare, il sole è presto alto nel cielo e scalda l’aria. Sarà una giornata afosa, e politicamente sarà torrida: il “sorpasso” è avvenuto ed i politici avranno un gran daffare a commentare, analizzare, spiegare...
Noi siamo in tenuta da combattimento, con scarponi e calzettoni di lana: non certo il meglio per affrontare i trenta gradi di giugno della pianura. Abbiamo i vestiti praticamente appiccicati addosso, ma nessuno si lamenta. Men che meno per il calore che ci “garantisce” il nostro cappello alpino: questo è un simbolo che portiamo con orgoglio e nessuno s’immaginerebbe di privarsene.
Mente procediamo lentamente, vedo intorno a noi i campi coltivati con l’ordine e metodo del laborioso Piemonte. Ci avviciniamo sempre più a Torino ed intanto una deliziosa aria tiepida ci accarezza il volto. Scruto la strada, guardo in avanti per valutare il percorso, ma intanto il pensiero torna indietro ai due giorni trascorsi.
Ecco finalmente Corso IV Novembre, con il passo carraio che dà sull’angolo con Piazza d’armi, accanto al mitico Stadio Comunale, così vicino che quando una squadra segna una rete nella caserma si sentono le urla.
Rientriamo al reparto, siamo in cortile, tutti a terra. Adunata, rompete le righe. Salgo presto nell’ufficio di compagnia, che ci sono mille cose da fare, non c’è tempo per essere stanchi: ora dobbiamo preparare i campi estivi in Valtellina, si parte tra quattro giorni, questa volta andiamo in montagna davvero.
Di questo però parleremo un’altra volta.

Che emozioni, quelle elezioni del 1984! Me le ricordo come fosse ieri, con tutti gli eventi che si sono susseguiti, e soprattutto per lo spirito alpino che ci ha condotto nell’assolvimento del nostro servizio, assieme a tutti quei ragazzi che hanno condiviso con me quella bellissima, indimenticabile, irripetibile, esperienza.

 

Luigi Neirotti, tenente degli Alpini ed istruttore militare di sci, è stato allievo scelto del 113° Corso AUC della Scuola Militare Alpina di Aosta. Ha svolto il servizio di prima nomina nel Reparto Comando e Trasmissioni della Brigata Alpina Taurinense. Sposato con tre figli, vive a Milano. Avvocato d’affari, è socio di un grande studio legale ed assiste imprese nazionali ed internazionali.

 

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