Gli scarponi di Oswald
di Mario Grigioni

 

Le “calzature da montagna per Truppe Alpine” (familiarmente “i Vibram”), sono state per tutti gli Alpini compagne inseparabili, utilizzate nelle situazioni più disparate. Con i Vibram si marciava in ordine chiuso, magari dalla Cesare Battisti fino a piazza Chanoux per deporre una corona ai Caduti, si scarpinava fino a Pila o a Punta Chaligne, ci si arrampicava in palestra di roccia e ghiaccio, si montava di guardia e di picchetto. Ci si dormiva, pure…

D’inverno, sotto i Vibram (magari corredati dalle storiche uose valdostane, le antenate delle moderne ghette hi-tech) venivano calzate le racchette da neve e addirittura gli sci, fissati con i rudimentali attacchi flessibili “kandahar”, che andavano bene sia per la discesa, sia per il fondo, sia per lo sci alpinismo con pelli di foca. Parafrasando una vecchia canzone, con un paio di Vibram nuovi si poteva fare il giro del mondo.

Intere generazioni di Alpini si sono però poste una domanda esistenziale, alla quale nessuno ha mai saputo dare una risposta convincente: perché i Vibram venivano forniti di colore marrone, quando il regolamento prescriveva che fossero neri?
Nel corso degli anni sono state formulate le più svariate ipotesi: secondo alcuni la prima ordinazione, effettuata direttamente dal generale Perrucchetti [l’ideatore del corpo degli Alpini, NdR], conteneva un errore che la burocrazia militare non è mai riuscita a correggere; secondo altri, si trattava di un test, per mettere alla prova la creatività e lo spirito d’iniziativa delle reclute; altri ancora affermano fosse un modo d’inculcare il concetto che gli ordini non si discutono: si eseguono e basta.

Nel suo splendido libro La Cinque, Filippo Rissotto dedica alcune intense righe agli sforzi compiuti dagli AUC del 121° per cambiare colore ai loro Vibram, e risponde alla fatidica domanda in modo assai pragmatico: “…era così e basta!”.
In quell’estate del 1967 il 48° AUC era quasi pronto al debutto: i “tubi” (così erano chiamati allora gli ultimi arrivati) erano stati acquartierati alla Chiarle, i dettagli logistici erano quasi a punto, e il capitano Beppo aveva ripassato il repertorio dei “cazziatoni standard”, quelli da somministrare d’ufficio ad ogni corso.

Al rito della consegna dei Vibram il sottufficiale addetto al vestiario fu assai sbrigativo: stringendo una scatoletta metallica per mano, e sollevandone una alla volta perché tutti potessero vederle, sbraitò: «Allora, questo è il grasso, che non vi venga in mente di usarlo! Non aprite questa scatoletta, riponetela nell’armadietto e lasciatela lì. Questo invece è il lucido: appena rientrati in camerata datevi da fare: olio di gomito! I Vibram devono splendere, altrimenti alla prima ispezione finite in tabella».

Quasi nessuno si pose problemi di colore o altro, e tutti eseguirono pedissequamente gli ordini. Tutti, tranne l’allievo ufficiale Oswald.
Oswald era un rappresentante del cospicuo contingente di altoatesini: ragazzi seri, cortesi e motivati, invidiati per il bilinguismo pressoché perfetto. Forse alcuni, unico neo, erano un tantino pignoli, come appunto Oswald.

Rientrando in camerata col suo carico di Vibram, grasso e lucido, fu sentito borbottare «… braune Bergschuhe… schwarze Poliercreme… nicht gut…», e s’intuì che aveva qualche problema con gli scarponi. «Cosa c’è, Oswald? Qualcosa non va?»
«In magazzino hafere fatto sbaghlio, hafere dato me scarponi marroni e crema per lucidare nera.»
I compagni cercarono di convincerlo che ci trovavamo tutti nella medesima condizione, ma non vi fu verso. Nei giorni successivi, mentre tutti erano impegnati ad annerire e lucidare i Vibram, Oswald fece di tutto per mantenerli nel loro stato originale. Sprovvisto del lucido marrone che avrebbe tanto desiderato, camminava con circospezione per evitare di sporcarli; la sera li ripassava amorevolmente con una pezzuola morbida. Erano ancora i più lucidi della camerata, esposti ai piedi della branda sembravano nuovi: Oswald ne era orgoglioso.

Venne finalmente il giorno della prima libera uscita e Oswald, con grande sollievo, ne approfittò per attrezzarsi di tutto punto con lucido (marrone, naturalmente), spazzole ed accessori vari. Prima del “silenzio” i suoi Vibram erano tanto lucidi da specchiarvisi. Peccato che il colore fosse quello sbagliato.
Il giorno successivo andammo in aula, ad assistere alle lezioni. Le camerate restarono vuote, ed i sottufficiali ne approfittarono per ispezionarle a fondo: la tabella puniti si riempì di nomi fino al massimo della capienza.
Al rientro dalla lezione Oswald, con la coscienza a posto, si avvicinò per pura curiosità al capannello formatosi di fronte alla bacheca e, con grande sorpresa, scorse il proprio nome. Quando lesse la motivazione, trasecolò: “Consegna gg. 10 per scarponi in disordine”.

Nonostante la sgradita sorpresa, si comportò da vero signore: allargò le braccia, scosse la testa e, senza alzare la voce, commentò: «Oh, Scheisse!!!». Rientrò in camerata senza perdere la calma e, facendo violenza alle proprie convinzioni, afferrò la scatola di lucido nero e si mise al lavoro.
Mentre dava olio di gomito a tutta birra, brontolava in madrelingua e nessuno osò disturbarlo. In seguito il vicino di branda, che capiva un po’ di tedesco, riferì che Oswald ripeteva continuamente: «È cosi e basta»… Proprio come avrebbero fatto, tanti anni dopo, i pronipoti del 121°.

 

Mario Grigioni - Ha frequentato il 48° corso AUC nel 1967. Dopo il periodo da sergente presso il battaglione Pieve di Cadore, ha prestato servizio di prima nomina alla Smalp, come comandante di plotone alla Prima compagnia AUC ed istruttore di trasmissioni.
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