Cronaca di una giornata Gloriosa
ovvero
il 25° del 112 Auc

di Roberto Frison

 

... La macchina fotografica l'ho preparata... il gagliardetto clone è in auto da una settimana... le mutande di Tocchio stanno in una borsetta dall'adunata di Bassano... Anzi, quelle mi conviene caricarle subito, sennò mia moglie Laura mi smeriglia le sacche scrotali per il resto della mia vita (quando ritorni le robe al tuo amico lì... quello del corso ufficiali?). Il vestito è pronto come pure il resto dell'abbigliamento per fronteggiare vento, neve, acqua e improbabile sole. Il cappello... be’, il cappello alpino lo prendo prima di partire: adesso me ne vado a letto, visto che sono riuscito a mandar via gli amici che avevo a cena....Orca miseria! Aspetta che controllo se ho preparato i fogli stampati e se nella borsa ho messo tutto il materiale da "fureria". E, visto che sono di nuovo in piedi, controllo anche se c'è qualche mail...eccolo lì, Alessandro Allegro mi scrive che domani non può venire. Adesso lo bottiglio e poi torno a letto...

E' iniziata così la mia giornata della Gloriosa, è iniziata la sera prima della domenica 30 novembre, con un andirivieni di passaggi mentali e atti compiuti, tali da ridicolizzare ogni mio secondo di vita familiare. Ma, si sa: ciò che accadde ad Aosta in quel lontano 1983 non è dato sapere ai comuni mortali, perciò qualsiasi gesto faccia ora appare inconsulto all'occhio terreno. Intanto il mio pensiero corre da un'altra parte d'Italia, a ponente, nelle terre borromee, dove l'ammirevole camerata 5 della Prima Compagnia del 112° AUC Smalp, capitanata dal "pennuto" Andrea Berton, è appena passata a salutare Cinzia, Chiara e Federica, nonchè moglie e figlie dell'amico Francesco Mancino, AUC della Gloriosa, scomparso tempo addietro per una malattia che non perdona. Va detto: la pattuglia della camerata cinque ci fa onore!

L'ora tarda mi chiama al giaciglio per il meritato riposo, così torno a letto. Ma la notte, pur arrivando in fretta, non mi fa conoscere le piacevoli profondità di chi si abbandona tra le braccia di Morfeo, così mi trovo a girare e rigirare innumerevoli tornelli di Brunetta. Finalmente il Signore nostro Dio fa sì che arrivi un'ora decente, tale da potermi alzare dal letto senza che la gentil donzella avuta in sposa commiseri la mia levataccia. Ma, si sa, per la Gloriosa non esistono fatiche e insonnie, esiste il dovere. Sistemate le cose, sbrandata la famiglia e caricato il bagagliaio come le peggiori vacanze fai da te, alla fine scaravento i pargoli in auto e parto. Parto sto' par di balle! Dopo 7 chilometri un raggio di luce fa breccia nella mia torbida mente e rivisitando mentalmente l'elenco materiali mi accorgo di una grave dimenticanza: IL CAPPELLO ALPINO!!! Vabbè, era una prova, penso, così rientro alla base a prendere il simbolo della mia alpinità valdostana e riparto alla volta di Bergamo Alta, agguerrito per bene e col coltello fra i denti. La pioggia cade incessante, ma non me ne curo più di tanto, perchè so che a pagina 70 del Numero Unico della Gloriosa vien citato espressamente "il tempo del pattugliatore del 112", vale a dire, c’è sempre una tregua del maltempo per qualsiasi attività esterna che la Gloriosa abbia a compiere. Durante il viaggio chiama il mio camerata Nico Barbero, che batte ritirata dopo un tragitto di 50 km per esser stato colpito da un virus intestinale. Altra vittima sul campo. Alle 9 sono in Centro a Bergamo, e prendo atto che Dio c’è, perchè se il tempo del pattugliatore del 112 trova ancora modo di stupire urbi et orbi, deve essere solo grazie a lui: in effetti non piove più e non pioverà mai quando la Gloriosa sarà esposta alle intemperie. Alle 9,05 arrivo al primo “randevù”: parcheggio Mafalda di Savoia. Alcuni sono già lì ad aspettare. Nell’avvicinarmi sale l’emozione, cresce la voglia di smontare al volo dall’auto per abbracciarli, di dire a mia moglie che s’arrangi lei coi bimbi e che da questo momento in poi non sono più della famiglia, ma appartengo alla Gloriosa. Ho così fretta nello scendere, che mi incasino coi fili del gps e del cellulare. Finalmente poso il piede sinistro a terra, mi sento come Neil Armstrong sulla luna. Sì, perchè quello che ha da succedere sarà effettivamente qualcosa di celestiale. Attratto come da una calamita, mi dirigo verso il gruppo e riconosco subito Alberto Perovani, poi vedo Tarca, Bertone, Donà, Favro, Rivella, Rizzio e Bianciottoporcozzio, mentre per De Giorgi devo chiedere l’aiuto da casa. Altrettanto con Rinaldi e Boriero. Un voce lontana mi lascia intendere la presenza del “pennuto” Berton, giro lo sguardo verso la direzione indicatami e vedo un soggetto non ben identificato, con un cappello alpino tirato da congedante del 9/83, tutto sgualcito e spiegazzato. Costui continua a parlarmi, così con gli occhi scruto oltre i suoi occhiali ed intravedo il pennuto di sempre, Andrea Berton, che tanto ha lavorato con me e gli altri per recuperare indirizzi mail e organizzare la giornata della Gloriosa. Ovviamente la prima cosa che faccio è mandarlo in mona, poi un abbraccio e via col chiaccherare, come ci fossimo lasciati il giorno prima. Già, piano piano mi rendo conto che passata l’emozione iniziale, mi comporto con tutti come li avessi salutati il giorno prima, ma so che non è per maleducazione o indifferenza, è perchè in cuor mio non li ho mai lasciati e li ho portati sempre con me. Passano i minuti e arrivano i veneti Volpato, Manzardo, De Rosa, Zoggia, Lucca, Deganello, Regini, Zambotto e Zucchet (quest’ultimo da Shanghai!!!), così ci trasferiamo nella Bergamo Alta per incontrarci col capocorso Claudio Sartori, che sta lì ad aspettarci con la famiglia (per la cronaca, ha una moglie molto bella). Parcheggiamo dentro i bastioni, e finalmente ci raggiunge Claudio con famiglia, e con loro il nostro simbolo di corso: il Gagliardetto della Gloriosa. Devo ammetterlo, mi sento un pò come Dante Alighieri, quando accompagnato da Beatrice arriva nel cielo di Venere e gli viene incontro lo spirito luminoso di Cunizza da Romano, sorella del famoso Ezzelino III. Il sommo poeta descrive così il momento: ed ecco che un altro di quelli splendori ver’me si fece e’l suo voler piacermi significava nel chiarir di fuori... (pur essendoci la moglie del capocorso che avanza verso di noi, io mi riferisco al Gagliardetto, sia chiaro!). Il Gagliardetto così si ricongiunge con la Gloriosa. Il capocorso è riuscito perfino a trovare una bellissima asta per incastonarvi alla sommità l’aquila alata, che da tempo teneva in un cassetto. Un gagliardetto che tutti seguiamo e che strada facendo raccoglie quelli della Gloriosa erranti per la città del Donizetti. Arriviamo in Piazza Vecchia e siamo già una trentina. Ci sono Ravera, Barbiero, Chenet, Buratti, Mannori, Parodi, Driusso, Forneris, Negroni, Moroni e altri ancora. Dovrebbe arrivare anche la comitiva dei friulani, ma il fuso orario che li separa dal Veneto ha giocato un brutto tiro a Quarino, che ha fatto tardare di 12 bottiglie la partenza della comitiva (a tanto ammonta la penalità che Toscani potrebbe infliggere a Lanfranco per procurato ritardo).

Il cielo plumbeo si fa minaccioso, così torniamo alle auto per raggiungere tutta la Gloriosa in quel di Almenno San Salvatore, il nostro “Obj” della missione, per dirla in modo smalpino.

L’ufficiale coordinatore del 25ennale, Giorgio Tocchio, e quello addetto al vettovagliamento, Luigi Torghele, son lì da un bel po’, ad accogliere i convenuti. Noi arriviamo che praticamente ci sono quasi tutti. Gli abbracci si moltiplicano in modo esponenziale, tante volte quante sono le persone. Dai ricordi cominciano a diradarsi le nebbie e si sentono le prime battute che hanno caratterizzato la Gloriosa (“bianciottoporcozzio” su tutte, ovviamente...). Incontro Manente col quale ho condiviso Santo Stefano di Cadore, e con immenso piacere lo trovo simile a come lo avevo lasciato. Arrivano pure Larcher e Donati che avevano dato forfait per problemi vari, ma han voluto rivedere i loro amici almeno per un’oretta. Donati, secondo me, vive sotto naftalina, è troppo uguale a quello del corso. C’è anche l’encomiabile Henriod nonostante la notte passata col papà all’ospedale. Ci sono tutti quelli che mi aspettavo, quelli della Gloriosa, chi un pò imbiancato, chi con addominali da tavola ben evidenti e altri ancora con i segni dell’età incisi sul viso. Chi con la barba lunga come il sottoscritto (ma solo per motivi di teatro, a metà dicembre la sfalcio com’è vero Dio), chi irriconoscibile come lo Zunino che non t’aspetti, folgorato sulla via della natura. Ma ci sono tutti.

Il tempo a disposizione è poco, perciò ci avviamo a piedi alla parrocchiale di Almenno. So che lì incontreremo i famigliari di Marzio Tremaglia, e strada facendo mi chiedo come ci accoglieranno i suoi genitori, come saranno i suoi figli, sua moglie; penso alla stupenda foto che Negroni ha inviato al curatore del nostro sito internet, Carlo Manganaro, dove lo ritrae assieme ad un Marzio sorridente. Inevitabilmente sul sagrato della chiesa tutto diviene più semplice del previsto, con i parenti di Marzio molto affettuosi nei nostri confronti. Così possiamo avviarci alla cerimonia religiosa con un senso ancor più fraterno. Si capisce subito che la messa è stata organizzata in modo impeccabile da Berton e dalla sua camerata 5, perciò vado da Toscani, e assieme facciamo una doverosa banfata al Gagliardetto ponendoci di fronte con il gagliardetto clone. L’alfiere Torghele con eloquente gesto ci invita ad allontanarci nell’ordine di tempo zero. Consci di aver fatto il nostro dovere di banfi, io e Stefano, bottigliamente ci allontaniamo. All’inizio della cerimonia, nel ricordare quelli “andati avanti”, Maurizio Manzardo, portatore sano di prosopopea, ci racconta in modo avvolgente il suo Marzio, quello con cui ha condiviso la camera al btg Edolo della Orobica. E’ un Marzio così suo, che pian piano diventa nostro, perchè il Marzio Tremaglia del 112 AUC era solo ed esclusivamente quello che ci ha esposto in modo delicato e rispettoso il bravo Manzardo. Di quella messa non dimenticherò niente, dal racconto di Maurizio all’emozionante assolo di Berton, dalla Preghiera dell’Alpino, letta dal capocorso, all’incredulità di don Bruno, quando Zucchet gli ha detto esser quello più lontano, visto che arrivava da Shanghai. E molti altri passaggi di cui non scrivo, ma che ben ricordo.

Ma oltre alla messa, il momento che aspetto è l’alzabandiera nel chiostro del ristorante. Son venuto apposta per quello, per rivedere la Gloriosa tutta assieme, bella inquadrata, protetta dalle ali del suo Gagliardetto, il quale finalmente può esser spettatore di una bandiera tricolore alzarsi al cielo, sorretta da un cospicuo numero di gloriosi occhi. Già, perchè a ritrovarci accanto al Gagliardetto, siamo in 66 della Gloriosa Prima Compagnia del 112° AUC. Non accadeva da 24 anni che ci trovassimo così tanti, da quando abbiamo fatto la festa di fine servizio militare nell’ottobre 1984. Così, una volta ben posizionati i 4 plotoni, e dato l’ordine di alzabandiera, lo stereo di Torghele lancia le note dell’Inno di Mameli, cui subito la Gloriosa si accoda in modo univoco. Il rompete le righe viene un pò pietoso, e non so se soffro più perchè è venuto male o nel percepire la sofferenza del capocorso, visibilmente emozionato, che perdendo il tempo nel dare l’ordine assiste ad un’opera incompiuta che aspettava da 25 anni. Non importa, a fine festeggiamenti ci sarà l’ammaina bandiera e per Claudio ci sarà un’altra possibilità.

Intanto vai col pranzo! E bisogna ammetterlo: il buongustaio Luigi Torghele ha scelto un ristorante bello, suggestivo e soprattutto dall’ottima cucina! D’altro canto, se abbiamo puntato sul buon Gigi come selezionatore di ristoranti per il 25ennale, un motivo ci sarà!

Tutto fila liscio, pure la lotteria per la quale molti han dato il loro contributo portando premi a più non posso, sostenendo di fatto la causa della Fondazione Marzio Tremaglia. Ecco...se c’è una cosa che è andata storta è il fatto che io non ho vinto nessun premio, neanche il pupazzo cagnolino che tanto voleva mio figlio Lorenzo!

Ad un certo punto l’ufficiale coordinatore del 25ennale, Giorgio Tocchio, deve abbandonare le ostilità culinarie per un suo pargolo febbricitante, al chè diamo il “la” ai discorsi. Non essendoci un microfono, posiziono una sedia in un angolo strategico e mi ci metto sopra in piedi, trasformando quell’angolo di sala nello speaker-corner del londinese Hide Park. Io non so cosa ho detto, ma qualcosa devo aver detto, solo che non ricordo cosa... Boh, sicuramente erano parole profondamente intestinali...Comunque dopo parla Giorgio, poi un commosso Capocorso che, dopo aver letto la lettera del generale Abrate, riesce a trovar le forze per vincere l’emozione e trasmettere l’affetto di tutti alla Gloriosa. Per altri motivi, inevitabilmente commosso è il papà di Marzio, l’on. Mirko Tremaglia che con un lungo silenzio ci fa capire dove va il suo pensiero. E noi con lui. Un applauso rompighiaccio e alla fine papà Mirko trova anche parole di incoraggiamento alla nostra alpinità. Chiudono gli interventi gli sten Giovanardi e Broggi, riportandoci simpaticamente al periodo trascorso ad Aosta. Ma ora tiriamo dritto nel racconto e andiamo all’epilogo, all’ammainabandiera.

Per lasciar impresso nella storia il rito di chiusura, presto alla moglie di nonsochi la mia videocamera (devo ammettere che, se anche le immagini sono venute scure, quanto meno l’audio è emozionante).

La Gloriosa tutta si inquadra. Si mette in posizione di attenti per assistere all’ammainabandiera cantando l’inno nazionale e poi... Poi un rompete le righe perfetto, impeccabile. Uno di quelli che alla smalp facevamo con tutta la voce che avevamo in corpo, nonostante le fatiche. Un grido che risveglia la Gloriosa, che le fa alzare la testa, che riaccende la sensazione del suo ricordo, più di tante parole. Un grido che ripaga il debito che il destino aveva nei confronti del capocorso e del 112°.

Son convinto che la storia della Gloriosa riparte dalle 17,00 circa di domenica 30 novembre, perchè tutto quel che è accaduto durante la giornata è stato il giusto percorso alla tappa finale dell’urlo: “PRIMA!”. Il rompete le righe delle 17,00 è stato qualcosa di sublime, di artistico, è stato il Rinascimento della Gloriosa.

Così anche i saluti di arrivederci avvengono con strette di mano difficili da lasciare, gli abbracci si dilungano nei tempi e i vari “ciao” si ripetono più volte.

Mestamente raccolgo un pò di materiale, qualche carta per terra, saluto gli amici della 5^ rimasti pure loro a metter ordine. Il capocorso non lo trovo più e con lui neanche Gigi. Ma tanto li sentirò. Mi avvio all’auto e appena salgo in macchina mi rendo conto di non aver mangiato e bevuto, di aver passato il tempo a controllare e ricontrollare le cose come il più eterno dei figli smalpini oltre che aver parlato poco con tutti. Insomma, ho capito che sei sette ore sono poche. Alla Gloriosa serve molto più tempo da passare assieme. Bergamo 2010 è alle porte, speriamo che tutto il 112 lo metta in agenda.

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